Recensione Crash - Contatto fisico (2004)

Se lo script ha anche la pecca di non riuscire a far emergere in maniera adeguata le psicologie dei personaggi, è la regia dell'esordiente Haggis a mostrare i maggiori limiti con delle scelte francamente opinabili.

Vivere e scontrarsi a Los Angeles

Il debutto alla regia dello sceneggiatore Paul Haggis, nomination all'Oscar lo scorso anno per Million Dollar Baby, arriva nelle sale italiane con ottime premesse: un supercast tutto indipendente, ottime critiche d'oltreoceano e anche un grande successo al botteghino con oltre 50 milioni di dollari incassati a fronte di un budget di soli 6 milioni e mezzo. In più una struttura narrativa corale che ricalca capolavori quali America oggi, Grand Canyon e Magnolia, quella di una tipica giornata losangelina con personaggi le cui vite si scontrano e intrecciano in un gioco del destino. Dispiace dire che nonostante le alte aspettative, o forse a dispetto di queste, a nostro parere ci troviamo di fronte alla prima grande delusione di questa stagione.

Crash - contatto fisico si presenta come un film importante, su temi scomodi come il razzismo e le (xeno)fobie post 11 settembre insite nella società americana e le conseguenti contraddizioni di una delle sue città simbolo, Los Angeles appunto, e dei suoi abitanti. Haggis racconta una non-storia della durata di ventiquattro ore in cui non c'è un vero protagonista, ma in cui seguiamo le vite di più personaggi diversi per razza, ceto sociale e professione: dal poliziotto violento a quello più giovane e disincantato, dal ladruncolo di periferia al procuratore distrettuale, dal padre di famiglia all'immigrato pronto a difendere a tutti i costi la propria attività. I punti di vista sono sempre diversi ma unica è la visione di insieme che ne scaturisce, quella di una società falsamente coesa e amalgamata in cui il razzismo e la paura del prossimo non sono altro che una scusa per poter sfogare la propria rabbia con la violenza, che sia fisica o psicologica poco importa. Non esistono buoni e cattivi, anzi spesso i ruoli normalmente prestabiliti si rovesciano fornendo un'immagine d'insieme estremamente pessimista ed ambigua.

E' evidente fin dall'inizio che l'intento dell'autore è quello di parlare di intolleranza e paura a tutto tondo, ma purtroppo cade nell'errore di non dire nulla che non sia già stato detto, portando sullo schermo soltanto altri stereotipi tipici di un certo cinema americano. E se lo script ha anche la pecca di non riuscire a far emergere in maniera adeguata le psicologie dei personaggi e soprattutto il graduale cambiamento che ognuno di loro subirà nel trascorrere di questa giornata simbolo, è la regia dell'esordiente Haggis a mostrare i maggiori limiti: l'uso insistito, nei momenti più drammatici, dei rallenty e l'enfatica colonna sonora tolgono qualsiasi senso di realismo e naturalezza ad un film che già nei dialoghi presenta una certà rigidità e didascalicità.

Non è difficile però capire il perchè del successo di un film come questo. Crash affronta un tema così poco accomodante e duro ma allo stesso tempo tremendamente attuale ed in virtù di tale scelta non poteva non attirare l'attenzione dei media e degli spettatori più attenti. E' indubbio che anche per il pubblico europeo si possa comunque trattare di una pellicola degna di una certa attenzione o, perlomeno, curiosità, ma viene spontaneo chiedersi quanto sarebbe potuto essere differente il risultato se, oltre ai temi da trattare, fosse stata data maggiore cura al film stesso, a come raccontare questa storia e non solo al perché farlo.

Movieplayer.it

2.0/5