Recensione Visitor Q (2001)

Un grande quadro, in cui troviamo un gran numero di elementi insoliti mescolati in una logica distorta e malata.

Visite inaspettate

Si è già detto più volte che il cinema orientale propone idee e modi di applicarle radicalmente differenti dai cliché ai quali siamo abituati noi europei. A questo proposito, è certamente un peccato che molti film del cosiddetto "Far East" non trovino distribuzione in Occidente, con il risultato che tali opere non possono arrivare al temibile giudizio di un pubblico per la maggior parte chiuso e ancorato a determinate tradizioni filmiche, come quello occidentale.

Visitor Q, datato 2001, è un film che potremmo definire, per usare un eufemismo, atipico. E' più che altro un grande quadro, in cui si mescolano diversi elementi in una logica distorta e malata. E' il ritratto di una famiglia in cui il padre è un reporter fallito che per realizzare i suoi servizi riprende di nascosto il figlio mentre subisce le angherie dei compagni di scuola; quest'ultimo è un bambino molto complesso, che si prende le sue personali soddisfazioni picchiando ogni sera la madre con uno dei battipanni a scelta tra i molti della sua collezione che tiene dentro l'armadio. La donna, del resto, si prostituisce e fa uso regolare di eroina. E' insomma una visione generale di completo sbandamento, in cui si inserisce un misterioso personaggio (il visitatore "Q" del titolo, che si diverte a prendere a pietrate in testa la gente). In ciò è sicuramente ravvisabile una netta somiglianza con Teorema di Pier Paolo Pasolini, anche se in quel caso si parte da presupposti di situazione decisamente diversi. Questo visitatore rappresenta l'elemento che scatenerà ancora di più il caos all'interno del gruppo-famiglia, portando come è naturale a conseguenze impreviste. Girato con un budget molto ridotto e in poco più di una settimana, utilizzando peraltro tecnologie digitali, riunisce in sé molti dei temi cari alla poetica filmica di Miike. Nel corso del film assistiamo a una lunga carrellata fatta di incesti, violenze fisiche e soprattutto psicologiche, situazioni al limite del trash, il tutto trattato con toni surreali, da commedia infarcita di anticonformismo registico, quando Miike decide per l'appunto di girare in questa maniera così particolare, addirittura integrando nel corpo del film pezzi girati con camere digitali dagli stessi protagonisti; ciò conferisce alla pellicola un aspetto "spezzettato" e insolito, eppure omogeneo nello svolgimento e coerente nel raccontare qualcosa di così follemente disordinato.

Spettacolari le interpretazioni dei personaggi principali, ironici, cinici quanto basta e abili nel cambiare atteggiamento all'interno di uno script all'apparenza semplicistico, ma che in realtà va ben al di là della semplice messa in scena, nascondendo un messaggio molto più profondo, di particolare disagio e smarrimento in mezzo a una situazione di caos che (per quanto possa sembrare inverosimile), in qualche modo viene sconvolta, ma ritrova la sua forma dell'origine in una risoluzione finale, nello scioglimento definitivo che risolve il tutto alla luce dell'importanza di una famiglia unita... in tutti i sensi.

Notevole anche la punteggiatura musicale, fondamentale nel sottolineare con sottile sarcasmo le immagini senza però sminuire il loro significato. E' infatti anche nella potenza delle immagini che risiede uno dei punti di forza di Visitor Q. Come già detto per altri lavori dello stesso regista, l'immagine da sola rappresenta una forma di vita all'interno del film che, volendo estremizzare, non è altro che l'insieme di molte immagini "viventi" accostate e raccordate tra di loro attraverso ben note tecniche di montaggio.

Concludendo, un film sicuramente fuori dalla normalità. Agli occhi di molti, certamente potrà sembrare una follia, qualcosa di assolutamente insensato. Eppure è uno dei simboli di una new-wave di prodotti davvero molto interessanti, una ventata di novità e originalità in un genere saturo di cloni e orfano di idee.