Recensione Viaggio alla Mecca (2004)

Film garbato ma deciso allo stesso tempo, che coniuga ottimamente le tematiche e la sensibilità di un certo cinema extra-europeo con i tempi e i ritmi dei canoni del nostro occidente ormai assuefatto alla quasi sincopatura di sequenze e battute.

Viaggio tra due mondi

Avvertenze per un corretto utilizzo di questo Viaggio alla Mecca. Per prima cosa non ci troviamo in presenza di quello che un pubblico troppo frenetico tende ad etichettare come una cinematografia soporifera e misurata tipica del vicino oriente. Punto secondo, l'analisi di un fenomeno religioso di massa, come quello del pellegrinaggio alla Mecca che ogni musulmano deve compiere almeno una volta nella vita, viene affrontato da un punto di vista interessante e coinvolgente, senza nessuna pretesa didascalica né di affermazione imperativa di un punto di vista.
La vivacità del girato (non aspettatevi però un doppio carpiato con mitragliata e atterraggio su una tavola da surf sull'orlo del Niagara come in un Mission Impossible qualsiasi) e la non pretestuosità dello script, rendono il film sorprendente per freschezza e profondità.
Ismael Ferroukhi è al suo primo lungometraggio per il cinema, e non perdendosi in voli pindarici, riesce a sostanziare il film contribuendo anche registicamente a sostenerlo.

Il titolo - " Le grand voyage" nell'originale - è paradigmatico dello svolgimento fin nel dettaglio. Si entra subito nel vivo, l'approccio al viaggio, dunque, alla partenza, e ridotto ai minimi termini, per poter portare immediatamente il fulcro dell'azione su quel che sta più a cuore al regista, il confronto/scontro generazionale tra un vecchio padre osservante, emigrato a suo tempo nella multietnica Marsiglia, e il suo giovane figlio, totalmente inserito e amalgamato nella società in cui si trova a nascere e crescere, totalmente staccato da qualsivoglia rito o tradizione della sua religione d'appartenenza.
Il dualismo del rapporto, caratteriale, culturale, propriamente fisico, dei due protagonisti, intersecandosi con una molteplicità di scenari con cui il viaggio va ad interagire. E, senza perdersi nel situazionismo, vengono descritte una serie di sequenze che sono tanto normali quanto necessarie ad uno sviluppo organico e mai forzato della psicologia e del carattere del rapporto padre/figlio.

Film garbato ma deciso allo stesso tempo, che coniuga ottimamente le tematiche e la sensibilità di un certo cinema extra-europeo con i tempi e i ritmi dei canoni del nostro occidente ormai assuefatto alla quasi sincopatura di sequenze e battute. Un giusto missaggio dei due elementi sorprendono per la completezza del montaggio e per la scorrevolezza della messa in scena, senza nulla togliere a una sofferta e dolorosa densità di contenuto.
Un buon film, prezioso incontro tra due mondi (e due tipologie di cinema) spesso troppo distanti.