Recensione Mammoth (2009)

Moodysoon sembra innamorarsi dei suoi stessi personaggi, mostrandoci più del dovuto della loro vita e delle loro giornate e finendo così per perdere completamente di vista la necessità di raccontare un qualcosa.

Viaggi a vuoto

Fischiato implacabilmente al primo accenno dei titoli coda duranta la proiezione stampa di questa quarta giornata del Festival di Berlino, Mammoth di Lukas Moodysson - il regista svedese di Fucking Åmål e Lilja 4-ever - è un film che paga non tanto i difetti di sceneggiatura (comunque notevoli) ma il suo essere pretenzioso e fintamente denso di contenuti.
La storia in realtà è quantomeno banale: ovvero un breve sguardo alla vita di una ricca famiglia di New York formata dal padre Leo (Gael Garcia Bernal), imprenditore bambinone che si è arricchito grazie al Web 2.0 e ai videogames, la moglie Allison (Michelle Williams), chirurgo, e la loro figlia di sette anni e mezzo, le cui cure sono affidate alla tata filippina Gloria (Marife Necesito). Quando Leo parte per un viaggio di lavoro verso Bangkok e il figlio maggiore di Gloria cerca di trovare un modo per guadagnare soldi e permettere così il ritorno della madre in patria, comincia una storia dai risvolti drammatici che ha come scenario, oltre alla Grande Mela, anche Thailandia e Filippine.

Facile che si pensi immediatamente ad un film come Babel, ma la differenza qui è sottile ma importante: non siamo di fronte a tante situazioni innescate a catena da un unico avvenimento (o, se si preferisce, dal destino) ma come dice Bernal (che d'altronde ha interpretato entrambi i film) semplicemente "tre storie che avvengono contemporaneamente in paesi diversi". Peccato che così facendo si perda gran parte del fascino dei lavori à la Inarritu e quello che rimane è soltanto una storia inutilmente complicata e anche ben poco equilibrata: ad una lunghissima fase di presentazione dei personaggi segue infatti un'ultima mezz'ora in cui finalmente assistiamo ad avvenimenti di rilievo che però inevitabilmente finiscono con l'essere troppo poco sviluppati, soprattutto considerato che avrebbero potuto fornire spunto per diversi temi interessanti, da quello del turismo sessuale e della pedofilia al rapporto tra genitori e figli ormai sempre più irrecuperabile.
Moodysoon invece - forse anche allettato dall'idea di dirigere per la prima volta attori di fama internazionale - sembra innamorarsi dei suoi stessi personaggi, mostrandoci più del dovuto della loro vita e delle loro giornate e finendo così per perdere completamente di vista la necessità di raccontare un qualcosa. Ne viene fuori così il classico film che vorrebbe dire tanto ma finisce col non dire assolutamente nulla.

Movieplayer.it

2.0/5