Recensione Gimme Kudos (2005)

Un film che pur con alcuni evidenti problemi cinematografici, stupisce per la mescolanza di registri da commedia, dramma e giallo ma soprattutto per la sfrontatezza e l'efficacia con le quali mette in scena una storia che è (fin troppo) chiaramente metaforica di un paese che viene sconvolto dagli avvenimenti che sta vivendo.

Uno sguardo sulla nuova Cina

Generalizzando (e banalizzando), fino a poco tempo fa quello cinese era un cinema che si esprimeva attraverso opere magniloquenti, autoriali, retoriche. Le varie "generazioni" dei registi cinesi si erano succedute con sì modificazioni, ma sempre restando all'interno di uno stile generale che nel complesso rimaneva omogeneo, e quasi sempre lontano da un uso del cinema come strumento diretto di riflessione politica, sociale, economica nel suo intellettualismo filmico e non. Questo non solo per tradizione ma anche per ovvie ragioni di censura, e indipendentemente dalla qualità artistica dei film provenienti da quella cinematografia.
Ma da qualche tempo a questa parte la Cina è diventata uno degli stati protagonisti della scena internazionale, soprattutto attraverso una serie di sommovimenti (per l'appunto politici, sociali ed economici) che se forse oggi toccano solo la superficie del paese, quella più facilmente percepibile all'estero, domani potrebbero arrivare a modificare seriamente le strutture di base di una nazione che appare miracolosamente sospesa tra tradizioni e innovazioni.
E di tutto questo - con il limiti dovuti alla censura di cui sopra - sembra essersi accorto anche il cinema del paese più popoloso del mondo. Un cinema che si fa più apertamente specchio della sua contemporaneità, che sembra volersi slegare dal giogo castrante dell'autorialità e che - perché no - strizza apertamente l'occhio al genere. Ai generi.

È il caso di questo Gimme Kudos, diretto da Huang Jianxin, un film che pur con alcuni evidenti problemi cinematografici, stupisce per la mescolanza di registri da commedia, dramma e giallo ma soprattutto per la sfrontatezza e l'efficacia con le quali mette in scena una storia che è (fin troppo) chiaramente metaforica di un paese che viene sconvolto dagli avvenimenti che sta vivendo e che deve cercare (in se stesso) nuove strutture valoriali, nuovi punti di equilibrio che nascano dalla ricomposizione e dal compromesso tra una tradizione culturale ed ideologica ancora fortissime (una spinta centripeta) ed una modernità (anche ideologica) che è esplosa con devastante irruenza (una spinta centrifuga).

Esemplare e basilare la trama: un giornalista (esponente e formatore quindi dell'opinione pubblica, di un pensiero che sia aggiornato e condiviso) vede la sua vita andare in crisi quando gli si presenta davanti un ragazzo goffo e timido che gli chiede di pubblicare un articolo dove gli venga riconosciuto il merito di aver salvato una giovane studentessa da uno stupro. Il problema è che la studentessa nega con vigore l'accaduto, ed il giornalista dovrà cercare - commettendo molti errori sul suo cammino - di scoprire la verità. Con il procedere del film diventa chiaro che la studentessa, giovane ragazza metropolitana, è il simbolo della Cina più moderna, scintillante, da vetrina, che pare rinnegare la tradizione e che si lascia andare a comportamenti egoistici pur di preservare il suo stesso futuro e la sua immagine. Il ragazzo che sostiene di averla salvata viene invece dalla campagna, e chiede di avere per la sua buona azione un riconoscimento pari ai tanti che il padre morente (indefesso lavoratore e comunista modello, incarnazione della Cina di ieri) ha avuto dal partito nel corso dei decenni. Lo chiede per se stesso e per il padre, lui che lavora in città con un'immancabile maglietta rossa con falce e martello come operaio addetto alla costruzione dei modernissimi grattacieli che sembrano negare il tradizionale comunismo che li sta costruendo. Un ragazzo che si mette al servizio della nuova Cina solo perché ancora fedele alla vecchia. Lacerato tra questi due personaggi, tra queste due icone, tra queste due forze apparentemente opposte il giornalista non sa cosa fare, non sa a chi dare ragione: da un lato crede al racconto del giovane, si commuove per la sua dedizione al padre (e ad una tradizione che con lui sta morendo) e per i suoi tentativi di rinnovare parte di quel mondo in un contesto nuovo. Dall'altro fatica a dare torto alla ragazza perché affascinato dalla sua bellezza e dalla sua freschezza, dalla sua spinta apparentemente inarrestabile verso un futuro che deve essere roseo indipendentemente dai cadaveri lasciatisi nel cammino.

Non c'è soluzione a questa impasse: perlomeno non una soluzione facile. Lasciare il lavoro, la propria vita, le proprie convinzioni per mettersi in viaggio e riflettere per dare corpo ad una nuova struttura valoriale e ideologica che permetta di affrontare e armonizzare le spinte centripete e centrifughe della Cina contemporanea è l'unica alternativa.
Se come detto la metafora del film è fin troppo smaccata ed imboccata allo spettatore, se si eccede a tratti in retorica, se il finale è sbrindellato e posticipato all'eccesso, Gimme Kudos colpisce comunque per l'analisi impietosa di un paese e di un popolo che devono rifondarsi e ritrovarsi, mai pesante o fastidiosa grazie all'uso delle strutture di genere, su tutte alcuni momenti più lievi e positivamente vicini alla commedia.