Recensione La cosa giusta (2009)

L'opera prima dello sceneggiatore di Liscio è un buddy movie all'italiana che sciorina una storia d'amicizia e inimicizie e si configura subito come un tripudio di riferimenti nel segno del prosaico riduzionismo cui ci ha abituato il piccolo schermo di Distretto di polizia.

Under suspicion

A distanza di quasi dieci anni lo spettro dell'11 settembre rinfocola ancora il serbatoio degli sceneggiatori, che però non s'accontentano di contestualizzare le loro storie all'episodio più memorabile della storia contemporanea per far leva sui "ismi" più imbalsamati e compiaciuti dei criteri morali, ma perseguono ambizioni ben più grandi e si prestano a reiterati dibattiti sociologici. Ecco che vediamo spuntare così, tra i leit motiv più abusati dagli autori italiani, televisivi e cinematografici, tematiche legate all'Iraq, all'immigrazione, al melting pot e perfino alla giustizia, già sull'onda delle più recenti contestazioni e diatribe politiche.

Viziato da questo combustibile ricorso il film La cosa giusta, scritto e diretto da Marco Campogiani, è giocato tutto sull'opacità della buona educazione e non si affranca da certe nebulose tirate pedagogiche e da malsane pretese reboanti. L'opera prima dello sceneggiatore di Liscio è un buddy movie all'italiana che sciorina una storia d'amicizia e inimicizie e si configura subito come un tripudio di riferimenti nel segno del prosaico riduzionismo cui ci ha abituato il piccolo schermo di Distretto di polizia. Protagonisti Eugenio Fusco e Duccio Monti, poliziotti di gradi e di esperienze diverse, il primo giovane e idealista che studia l'arabo e sta per laurearsi, il secondo cinico e pragmatico. I due piedipiatti lavorano fianco a fianco nel corso di un'indagine sul tunisino Khalis Amrazel, sospettato di aver collaborato con cellule del terrorismo islamico. Dichiarato innocente e prosciolto dalle accuse lo "straniero" verrà scortato dai due agenti che s'insinueranno garbatamente nella sua vita quotidiana finché il loro equilibrio non verrà rovesciato dalla terribile ombra della complicità.

Girato tra Torino e Tunisi, descritte con chiarezza visiva da due distinte cromaticità delle atmosfere, e caratterizzato da immagini di una precisione incontestabile per sintassi, il film di Campogiani affonda le mani in una serie di diktat comuni e non lascia nulla di rarefatto nello svolgimento. La regia è sicura e rigorosa e sostiene tutta la vicenda con inquadrature geometriche che seguono senza tanti dinamismi i personaggi nella loro prossemica relazionale. Composte le interpretazioni degli attori comprimari Ennio Fantastichini, che forse ci sarebbe piaciuto più aggressivo e meno rammollito, e il giovane Paolo Briguglia (Baària), che corruga la fronte come un perfetto bravo ragazzo, mentre Ahmed Hafiene (La giusta distanza) emerge con la sua usuale capacità di velare di mistero e arricchire di ambiguità personaggi scomodi e marginali.