Recensione Limitless (2011)

Dopo The Illusionist Neil Burger torna a raccogliere la sfida di raccontare il fascino perverso e altamente seducente di una realtà indotta.

Una vita da leoni

Come vi comportereste di fronte all'esistenza di un medicinale in grado di sviluppare alla millesima potenza ogni facoltà mentale e trasformarvi in un vincente senza alcun limite? Questo è il dilemma che Eddie Morra, scrittore dal perenne blocco creativo, si trova a dover affrontare in un momento particolarmente critico della propria esistenza. Trasandato, abbandonato dalla fidanzata e sull'orlo dello sfratto, Eddie è la rappresentazione del fallimento temuta e allontanata con orrore dalla società moderna. La sua condizione, però, cambia improvvisamente grazie al casuale incontro con un vecchio amico e alla misteriosa offerta di una smart drug capace d'imprimere incredibile velocità alla sua mente. Da quel momento nulla sarà più come prima. Terminato il libro in soli quattro giorni, Eddie scopre le infinite potenzialità della NZT; i suoi sensi sono costantemente all'erta, lo sguardo registra ogni singolo particolare, mentre la memoria è in grado di apprendere lingue straniere con il semplice ascolto. Rinato a nuova vita, decide di abbandonare la mediocre esistenza da scrittore per ambire alla terra promessa chiamata Wall Street, ma si sa che niente è mai come sembra, tantomeno nell'ambiguo mondo degli affari. A complicare la situazione si aggiunge una mente in stato di overdose e una banda di criminali alla disperata ricerca del farmaco miracoloso. Come gestirà Eddie questa vita ad alta velocità? A mostrargli la mossa vincente sarà ancora una volta la preziosa NZT.


Dagli scaffali di una libreria di testi usati al grande schermo il passo è piuttosto lungo ma non impossibile da compiere. In questo modo il romanzo The Dark Fields di Alan Glynn è finito nelle mani della sceneggiatrice Leslie Dixon, conquistandone completamente l'attenzione. Da qui, rintracciare in Neil Burger il regista adatto a giocare con gli effetti di un'intelligenza stimolata artificialmente non è stata un'impresa così complessa. Questa in poche battute la genesi di Limitless, l'action thriller che con le sue riflessioni etiche e sociologiche, mediate da un ritmo allucinogeno e da un'ironia moderna, ha conquistato la platea americana. Dopo The Illusionist Burger torna a raccogliere la sfida di raccontare il fascino perverso e altamente seducente di una realtà indotta. Accantonate completamente atmosfere più classiche, il regista accetta di misurarsi in un face to face senza via di scampo con la mente umana, i suoi molti lati oscuri e le innumerevoli illusioni che il desiderio di successo può costruire a uso e consumo globale. Sprofondato nei desideri e nelle aspettative di Eddie, Burger smette di osservare per porsi nella condizione di vivere in prima persona ogni singola esperienza. In questo modo l'obiettivo non è puntato sul personaggio ma all'interno delle sue sinapsi, seguendo così la traiettoria dello sguardo e la velocità di una mente iper accellerata. Da questa prospettiva ha inizio un viaggio febbrile, di grande energia la cui meta, al di là del puro intrattenimento, è una riflessione sulla potenzialità dell'uomo.

Nonostante gli effetti visivi di forte impatto, la gestione dell'impianto narrativo è l'elemento dominante dell'intero film. Capace di piegare il genere alle esigenze della riflessione senza svilirne la natura, Burger costruisce una mappa in cui segnare le tappe fondamentali della società moderna. Seguendo la scalata in stop motion di Eddie, si giunge alla conoscenza di un territorio che va oltre la mera collocazione geografica della città di New York o dell'America stessa. La sfida e la posta in gioco sono molto più alte. A essere rappresentata è la così detta società globale che, con i suoi stimoli fascinosamente demoniaci, spinge l'uomo a rincorrere la grandezza a tutti i costi. Ben lontano dal proporre un giudizio morale o una soluzione al problema, Limitless stuzzica i desideri e le attese personali del pubblico, ponendolo ad un passo dal limite che mai si sarebbe immaginato di poter varcare. Un trucco che Burger attua con maestria grazie alla complicità di Bradley Cooper. Articolato, verbalmente seducente, credibile nella sua doppia rappresentazione di perdente/vincente, l'attore porta a termine con successo la sua illusione più grande. In un gioco di realtà riflesse, mette in scena la rappresentazione di un sogno in cui l'identificazione è il trucco che c'è, ma non si vede. Chiunque può essere Eddie e, soprattutto, chiunque vorrebbe essere Eddie. A questo punto non rimane che tentare, sempre che se ne abbia la follia e il talento.

Movieplayer.it

4.0/5