Recensione Mar Nero (2008)

Mar Nero si rivela una scommessa vinta con successo, a dimostrazione del fatto che un cinema italiano di qualità è possibile se si è capaci di assorbire con leggerezza e umiltà la lezione del passato scrollandosi, però, di dosso la sudditanza verso i maestri.

Una storia semplice

Quando il cinema si dimostra capace di fotografare la realtà odierna aggiungendo, grazie alla sue infinite possibilità espressive, anche quel qualcosa in più che ci guidi in una decodificazione intelligente e consapevole della contemporaneità, non possiamo che esserne soddisfatti. In particolare se a farlo è il cinema italiano colpevole, spesso, di adagiarsi sulle immagini stereotipate delle commedie stracolme di quarantenni in crisi d'identità affetti da nevrosi e sessuomanie, divisi tra vacanze di lusso (mare, montagna, Caraibi, Egitto) e finti pseudo-drammi della gelosia alto-borghesi. La vita, quella vera, sta da un'altra parte. Di recente ce lo hanno ricordato pellicole come il discusso Gomorra e il toccante Caos calmo, come il divertentissimo Pranzo di ferragosto e, a suo modo, quella cinica fotografia del lavoro ai tempi del precariato che è Tutta la vita davanti. Un plauso dunque al fiorentino Federico Bondi, regista esordiente dalla spiccata sensibilità che costruisce un'opera prima di grande pregio partendo da una storia piccola piccola, ma comune, in un o modo o nell'altro, a quasi tutte le famiglie italiane. La difficoltà della gestione degli anziani, trascurati da figli e nipoti che, assorbiti dai mille impegni del quotidiano, preferiscono affidarli alle cure di badanti rigorosamente straniere, la cui richiesta aumenta sempre di più man mano che la popolazione italiana invecchia. Un fenomeno ormai ampiamente consolidato a testimoniare l'evolvere di un popolo le cui nuove generazioni, mediamente più colte e benestanti, si rifiutano di impiegarsi in professioni 'umili', come l'assistenza agli anziani, la manodopera agricola e certa industria pesante, lasciando questi mestieri appannaggio degli immigrati.

Il focus della narrazione si concentra proprio su una di queste giovani donne, la rumena Angela, costretta a lasciare la propria casa e l'amato marito per andare ad accudire l'anziana Gemma nel suo appartamento di Firenze. Mar Nero documenta, passo dopo passo, la costruzione di un rapporto fatto di diffidenza e subordinazione, di ripicche e di una lenta conoscenza reciproca i cui tasselli vengono aggiunti quotidianamente, non senza difficoltà. Un film che coraggiosamente rinuncia agli orpelli per mirare all'essenziale privandosi di nomi di facile richiamo e puntando tutto sulla magistrale interpretazione delle due protagoniste, l'intensa Dorotheea Petre e la straordinaria Ilaria Occhini, grande interprete teatrale purtroppo raramente utilizzata sul grande schermo, che incarna con grande verità l'anziana e diffidente Gemma, segnata dalla vita, dalla malattia e dalla testardaggine tipica delle persone di una certa età. Un ruolo che ha permesso alla Occhini di conquistare meritatamente il Pardo per la miglior interpretazione femminile all'ultimo Festival di Locarno. Nonostante l'asciuttezza della narrazione e il taglio realistico, Bondi non manca di mostrare un'attenzione all'estetica dell'immagine e una sicurezza non comune nell'uso della macchina da presa che denotano grande capacità registica. Agli interni fiorentini, in prevalenza situati nella vecchia casa di Gemma, fotografata con minuzia di dettagli che raccontano frammenti di una vita, si affiancano gli splendidi esterni girati sulla foce del Danubio, nel viaggio finale in cui Gemma accompagna Angela in cerca del marito che si è allontanato da casa in un impeto di straordinaria solidarietà femminile.
Scritto a quattro mani dallo stesso Bondi insieme a Ugo Chiti (come ha spiegato lo stesso regista il film è in parte frutto della sua esperienza autobiografica con la nonna che è stata a lungo accudita da una badante rumena) e prodotto in sinergia da Rai Cinema e Kairòs Film in collaborazione con Toscana Film Commission, Mar Nero vede impegnato in un piccolo anche Corso Salani, attore e regista impegnato che qui appare nei panni del figlio di Gemma. Una scommessa vinta con successo, a dimostrazione del fatto che un cinema italiano di qualità è possibile se si è capaci di assorbire con leggerezza e umiltà la lezione del passato scrollandosi, però, di dosso la sudditanza verso i maestri, e tenendo gli occhi ben aperti su quest'Italia odierna allo stesso tempo radicata nel suo passato e aperta verso una multietnicità e multiculturalità che stanno diventando la regola di un paese a cavallo tra passato e il futuro, ma spesso incapace di soffermarsi ad analizzare il proprio presente.

Movieplayer.it

4.0/5