Recensione 7 giorni all'Havana (2012)

Pur con alcuni momenti più deboli, 7 giorni all'Havana risulta un film godibile per chi vuole assaporare le atmosfere della città cubana e lasciarsi raccontare alcune delle sue tante anime.

Una settimana a Cuba

Le prime esperienze di un giovane attore americano in città ed il suo incontro con una donna affascinante; il regista famoso e con problemi che arriva per ritirare un premio; la cantante che deve decidere se accettare o meno una proposta di lavoro, con risvolti romantici, all'estero; il palestinese per la prima volta a l'Havana in attesa di essere ricevuto all'ambasciata; l'esorcismo di una ragazza ritenuta omosessuale; l'impegnativa giornata di una psicologa che fa torte per guadagnare qualcosa di più, alle prese con un ordine piuttosto consistente; i frenetici preparativi, con ristrutturazione della casa per adattarsi alle richieste oniriche della Vergine Maria, per una festa.
Sono le storie raccontate dal film ad episodi 7 giorni all'Havana, presentato nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2012.


Sette storie, sette registi, sette diversi aspetti della realtà cubana. Il film ci conduce in un viaggio di una settimana nella sfaccettata capitale dell'isola centroamericana, mettendo insieme sette cortometraggi diretti da altrettanti diversi artisti e dipingendo un quadro variegato delle sue diverse anime, da punti di vista diversi: dall'interno o dall'esterno, con gli occhi dello straniero che la vede per la prima volta o del suo abitante che sogna di lasciarla. Un percorso che cerca di evitare i luoghi comuni su Cuba, o meglio che cerca di raccontarli con ironici ammiccamenti. Un viaggio riuscito in parte, grazie soprattutto all'abilità di alcuni dei nomi in gioco, che ha la sua massima espressione nell'episodio di Elia Suleiman, Diary of a Beginner, caratterizzato da ironia e tempi perfetti nel seguire le curiose osservazione del protagonista alle prese con la sua prima visita a l'Havana.
Non è l'unico frammento riuscito: Benicio del Toro si cimenta in un discreto esordio alla regia dando buon ritmo al primo episodio El Yuma, mentre Pablo Trapero dirige con sicurezza un autoironico Emir Kusturica nel divertente Jam Session che segue. Ugualmente simpatici i due episodi conclusivi, affidati a Juan Carlos Tabiò e Laurent Cantet, quest'ultimo efficace anche grazie all'interpretazione vivace della sua protagonista, l'anziana donna che stravolge casa per sistemarla secondo le indicazioni oniriche ricevute dalla Madonna.

Come ogni opera composita ha i suoi punti deboli, che qui identifichiamo nell'anonimo Cecilia's Temptation di Julio Medem, che appare non incisivo nel comunicare i dubbi della protagonista nel decidere se lasciare il paese o meno, e soprattutto The Ritual di Gaspar Noè, che con la sua cupezza appare completamente fuori contesto.
Pur con questi momenti più deboli, 7 giorni all'Havana risulta comunque un film godibile per chi vuole assaporare le atmosfere della città cubana e lasciarsi raccontare alcune delle sue tante anime.

Movieplayer.it

3.0/5