Recensione Un'altra giovinezza (2007)

Opera intensa quanto diseguale, affascinante ma ostica da affrontare e da "leggere", il ritorno di Coppola si rivela comunque un'esperienza cinematografica tutta da scoprire.

Una rigenerazione ostica e affascinante

Si apre con un risveglio, Un'altra giovinezza; un risveglio simile a quello con cui già si aprì, ormai quasi trent'anni orsono, Apocalypse Now. Un film, questo di Francis Ford Coppola, che di risvegli (spesso aperture su un altro io scoperto o riscoperto) ne offrirà tanti nelle sue oltre due ore di durata; metafora forse, neanche troppo velata, del risveglio di un regista che è stato lontano dalle scene per dieci anni, e che ha voluto ora offrire al pubblico un'opera personale quanto ostica, sfaccettata, complessa. D'altronde lo stesso Coppola, nelle dichiarazioni con cui ha presentato il film, non fa mistero della sua identificazione con il protagonista: specie nella situazione di partenza, che vede un uomo in età avanzata lottare contro un'apparente sterilità creativa, fonte di frustrazione. La rigenerazione, che per Dominic Matei (un intenso Tim Roth, affiancato dagli altrettanto convincenti Bruno Ganz e Alexandra Maria Lara) arriva con un colpo di fulmine che per una volta è fisico (ma che ben giustifica l'ormai abusata metafora), per il regista è giunta proprio con la lettura del racconto di Mircea Eliade, in cui Coppola ha ritrovato temi e motivi su cui da tempo avrebbe voluto incentrare un film.

Non deve stupire l'accoglienza apparentemente tiepida riservata al film dalla platea di giornalisti presenti all'anteprima, alla Festa del Cinema di Roma: quella di Coppola è un'opera complessa che probabilmente richiede più di una visione per essere compresa e metabolizzata appieno. La carne al fuoco è tanta, forse troppa, per un film che in circa due ore spazia in trent'anni di storia (trent'anni di sconvolgimenti e trasformazioni radicali per la storia umana); seguendo da vicino i mutamenti, fisici e mentali, di un protagonista che compie un cammino a ritroso alla ricerca dell'autentico scopo della sua esistenza, alle prese con dilemmi e interrogativi che da personali si fanno man mano sempre più universali. Un film che cambia faccia più volte, con uno sviluppo forse diseguale e poco armonico, ma non per questo scevro da momenti (molti) di autentica suggestione: parte come un episodio de Ai confini della realtà, per trasformarsi poi in un thriller politico con suggestioni fantastiche, passare per una storia d'amore metafisica e con una forte componente onirica, e approdare a una serie di considerazioni filosofiche sul quale Coppola si guarda bene (e non si vede, d'altronde, come sarebbe possibile fare altrimenti) dal dire una parola definitiva.

E' ricco di metafore e di segni, Un'altra giovinezza, dal già citato fulmine che rigenera anziché distruggere, a quelle rose che, oltre a rivelare (rivelare al protagonista la realtà - che forse non è tale fino in fondo, ma non importa - del suo doppio) fungono in qualche modo, specie l'ultima, da emblema di una scelta, alla quale la sceneggiatura sembra dare alla fine una sua, seppur sofferta, adesione. Tra i tanti temi toccati dal film troviamo l'eterno motivo del doppio, esplicitato qui in un dualismo tra amore e ambizione che si ripercuote in quesiti più generali sul bene e il male, la consapevolezza e lo scopo (o il non scopo) dell'esistenza, e addirittura un tema "caldo" della modernità come il relativismo etico e culturale. E poi ci sono la reincarnazione (motivo centrale della religione induista), affrontata come viaggio iniziatico all'interno di se stessi, il rapporto con i sogni, la validità o meno dei confini dell'esperienza sensibile, la morte e il proprio rapporto con essa: argomenti di grande spessore e rilevanza culturale, forse troppi, come si diceva, per essere trattati in una pellicola che per forza di cose finisce per non dare ad ognuno di essi l'approfondimento voluto. Tuttavia il film di Coppola, proprio in virtù di questo suo continuo e spiazzante "cambiare pelle", ipnotizza e affascina lo spettatore disposto a recepirne le premesse, con il suo incedere liquido e avvolgente e la sua indubbia suggestione visiva.
Un'opera, come si diceva, intensa quanto diseguale, affascinante quanto ostica da affrontare e da "leggere". Sarà interessante verificare come crescerà (o meno) nelle successive visioni, e come verrà ricordata, tra qualche anno, all'interno della filmografia del suo poliedrico, straordinario autore.

Movieplayer.it

3.0/5