Recensione The Promise: The Making of Darkness on the Edge of Town (2010)

Un documentario che racconta un disco tra i più rappresentativi della carriera di Bruce Springsteen, presentato al Festival di Roma alla presenza del rocker, in una festosa atmosfera da concerto.

Una promessa mantenuta

E' difficile parlare del documentario The Promise: The Making of Darkness on The Edge of Town, presentato in anteprima al Festival del Film di Roma, senza parlare dell'evento che la proiezione in sé ha rappresentato. Una proiezione che ha visto una partecipazione di pubblico straordinaria, certo tra le più alte dall'inizio dell'intera manifestazione, frutto del passaparola successivo all'annuncio che Bruce Springsteen sarebbe stato presente; un'atmosfera surriscaldata, da concerto rock, con tanto di cori e ovazioni, per un film che racconta la genesi di uno dei più importanti album della carriera del Boss, forse il più amato dai fans. Era il 1978 e Springsteen, dopo due album passati quasi inosservati e il successivo "botto" commerciale di Born To Run, era chiamato a ripetersi ed entrare definitivamente nell'Olimpo dei grandi, o scomparire. Darkness on The Edge of Town è stato probabilmente l'album della maturità artistica, quello in cui il suono della E-Street Band ha preso definitivamente forma, ma anche quello in cui Bruce ha preteso e ottenuto il controllo totale sulle sue creazioni. La causa legale con il manager e amico Mike Appel è raccontata nel documentario con interviste a entrambi, e appare evidente la dolorosa frattura che questo evento causò ("ho dovuto affrontare una causa legale contro un mio amico", ha dichiarato il rocker, "una cosa che non auguro a nessuno"), una ferita mai del tutto rimarginata nonostante gli oltre 30 anni intercorsi; ma altrettanto evidente appare la determinazione che mosse le decisioni di Springsteen, allora consapevole che la posta in gioco era il suo futuro artistico, la sua intera carriera.

Era già un'opera dal carattere prettamente cinematografico, Darkness, e fa un certo effetto vedere ora, oltre 30 anni dopo, restituita questa dimensione proprio attraverso il medium del cinema, seppure sotto forma di documentario. Un album che raccontava di un'America rurale, contrariamente alle ambientazioni urbane dei dischi precedenti, popolata di reietti, operai, losers, individui in cerca di sé stessi e di una Promised Land che nel corso degli anni si scoprirà luogo ideale, tensione, utopica meta verso la quale non si deve mai smettere di puntare. Un'opera che restituiva le tensioni di una generazione che era appena uscita dalla contestazione, che doveva fare i conti con la crisi petrolifera e con un futuro incerto, e che cercava sé stessa sulle strade di un sogno che appariva già miraggio, e che doveva iniziare a fare i conti con i compromessi della vita adulta. Tutto ciò è ottimamente restituito in immagini dal documentario di Thom Zimny, che alterna sequenza di repertorio (perlopiù in bianco e nero) riprese nello studio di registrazione, brevi interviste audio dell'epoca, e testimonianze registrate ex-novo, che vedono coinvolti Springsteen, il già citato Chuck Plotkin, il produttore Jon Landau e tutti i membri della E-Street Band (ed è da segnalare anche l'apparizione di Patti Smith, a cui Springsteen cedette uno dei suoi pezzi più celebri, Beacause the Night). A inframezzare questo materiale, brevi sprazzi psichedelici di sconfinati paesaggi rurali, delle higways di cui si narra nell'album, il tutto unificato sotto forma di un racconto che è innanzitutto racconto umano. L'uomo-Springsteen si mette coraggiosamente a nudo, in questo film, e raccontando la genesi di una delle sue opere più rappresentative racconta innanzitutto sé stesso e la sua crescita, personale prima che artistica. Una crescita che è passata per la risoluta determinazione di voler gestire in proprio il suo lavoro, ma anche per un riconoscimento dell'importanza dell'amicizia, incarnata in quel pugno di musicisti dai cui strumenti si libera finalmente un suono compatto, corale, incendiario. Non è casuale l'affermazione di Bruce secondo la quale questo fu il primo vero album della E-Street Band, mentre i precedenti somigliavano più ad album solisti; e non è un caso che il tour che ne seguì fu irripetibile, con una durezza nel suono mai più raggiunta in futuro, non a caso registrato in bootleg tuttora venerati come oggetti sacri dai fans.

L'amicizia, la dimensione di condivisione totale esistente tra i membri del gruppo è quindi un altro elemento fondamentale di quest'opera, visibile in spezzoni di filmati che strappano sorrisi e lacrime (tra cui una Sherry Darling ante-litteram con Steve Van Zandt a picchiare sulle percussioni) ma anche nei momenti più tesi, nei contrasti che inevitabilmente si creavano tra i musicisti e che da sempre sono alla base delle grandi opere. Contrasti che rendono conto della ferrea etica del lavoro che permeava (e permea tuttora) l'operato di Springsteen, del suo perfezionismo, della sua immensa creatività, riassunta in quel quaderno di appunti su cui non smetteva di riportare idee, frammenti di testi, semplici visioni ancora da tradurre in versi di canzoni. "Soffro di una sindrome ossessivo-compulsiva", ha detto scherzando in una delle interviste, e lo ha ripetuto successivamente nell'incontro che ha seguito la proiezione del film; ma è proprio di quella sindrome che tutto il suo lavoro è informato, e senza di essa probabilmente non avremmo avuto dischi che sono entrati di diritto nella storia del rock. Ed è un contorno fondamentale (forse un valore aggiunto) l'autentica partecipazione popolare che ha caratterizzato la proiezione del film e il successivo breve incontro, che dà conto ancora una volta dell'empatia speciale, unica, che lega Bruce al suo pubblico, e il pubblico alla band nel suo complesso: l'applauso di tutta la sala alla prima apparizione, nel documentario, di Danny Federici (tastierista storico del gruppo, morto di cancro nel 2008) dice a questo proposito più di mille parole. E il cofanetto commemorativo in uscita tra pochi giorni, comprensivo di 3 cd e 3 dvd, nel quale questo documentario sarà incluso, diventa qualcosa di più di un mero oggetto da feticisti, ma piuttosto un ennesimo "pegno", testimonianza di un amore speciale, e splendidamente collettivo, che dura ormai da quasi quattro decenni.

Movieplayer.it

4.0/5