Recensione Silvio Forever (2011)

Uno dei motivi di interesse di Silvio Forever sta nella sua singolare struttura, che ne fa un esperimento inedito nel panorama del documentarismo italiano: gli autori ricostruiscono una narrazione coerente della vita del personaggio, assemblando le sue parole senza mai modificarle e mettendo insieme una linea narrativa che ha l'andamento di un'autobiografia.

Una narrazione assemblata

Tra il cinema e la realtà, così come tra il cinema e la politica, si creano a volte dei cortocircuiti singolari, magari non del tutto casuali, ma non per questo meno sorprendenti. Uno di questi ha avuto origine nel documentario Forza Italia!, girato da Roberto Faenza nel 1978 e diventato subito film di culto, un impietoso ritratto della classe politica italiana che fu persino censurato all'epoca del sequestro Moro (altri tempi, si dirà... o no?). Sedici anni dopo, Silvio Berlusconi avrebbe usato la stessa espressione per creare un movimento politico che, dal niente, sarebbe arrivato alla guida del paese e avrebbe aperto, certo non da solo, una fase nuova nella politica italiana, fase ancora in pieno svolgimento. Dopo altri diciassette anni, lo stesso Faenza decide di girare un nuovo documentario, presentandolo come il seguito di quel film al vetriolo e incentrandolo proprio sulla figura del Cavaliere di Arcore, vero "centro di gravità permanente" della cosiddetta Seconda Repubblica. Un'operazione realizzata insieme al collaboratore Filippo Macelloni, e nata dall'input dei giornalisti Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, già autori del discusso libro-inchiesta La casta. Una "autobiografia non autorizzata", come lo stesso lancio pubblicitario l'ha presentata, in cui la vita di Berlusconi viene raccontata interamente attraverso le sue parole (a volte originali, a volte restituite dalla voce off di Neri Marcoré) oltre che naturalmente con i tanti filmati di repertorio.


Uno dei motivi di interesse di Silvio Forever sta proprio nella sua singolare struttura, che ne fa, a prescindere dalla sua effettiva riuscita, un esperimento inedito nel panorama del documentarismo italiano. L'idea di un'autobiografia non autorizzata, espressione che potrebbe apparire un ossimoro concettuale, è in effetti originale e interessante: gli autori ricostruiscono una narrazione coerente della vita del personaggio, assemblando le sue parole senza mai modificarle e mettendo insieme una linea narrativa che ha appunto l'andamento di un'autobiografia. La voce di Marcoré, tuttavia, evidentemente tesa (e dato il background dell'attore non potrebbe essere altrimenti) a scimmiottare un po' qualunquisticamente quella del premier, conferisce all'operazione una componente caricaturale che forse non era nelle intenzioni degli autori: se, come loro stessi hanno dichiarato, lo scopo era quello di costruire un documentario "neutro" sul personaggio, un elemento così smaccatamente e palesemente ricostruito (una "marca di enunciazione" così evidente, come la definirebbero gli studiosi del documentario) non può che inficiare in una certa misura il raggiungimento dell'obiettivo. L'ironia pur presente nel corso del film, visibile in certe scelte di montaggio ma tenuta costantemente sottotraccia, viene resa palese da questa discutibile scelta, rischiando di risultarne neutralizzata.

Il film evita, in effetti, di affondare la lama negli effetti del berlusconismo sulla società italiana, glissa sui processi e (abbastanza incomprensibilmente) sul recente scontro con l'ex-alleato Fini, costruisce una narrazione biografica che è personale più che politica, prendendosi i rischi di operare questa cesura proprio su un personaggio in cui i due ambiti sono, oggi più che mai, indissolubilmente legati. Non è questa la sede per esprimersi su una scelta del genere: si può tuttavia, legittimamente, osservarne i risultati e porsi a proposito qualche domanda. La più logica, che è anche quella a cui gli stessi autori, durante la conferenza stampa di presentazione del film, non hanno saputo dare una risposta convincente, riguarda il pubblico a cui può essere destinata un'operazione del genere. Lo spettatore di sinistra, o quello che ha comunque un'opinione negativa del politico Berlusconi, non troverà probabilmente nulla di nuovo nel film, ne uscirà confermato nelle sue opinioni ma anche con la sensazione di aver visto qualcosa che, in fondo, si può trovare con buona approssimazione in una qualsiasi antologia di Blob. L'elettore di Berlusconi, d'altro canto, se mai andrà a vedere il film non potrà che leggerlo secondo la sua peculiare ottica, uscendone parimenti rafforzato nelle sue convinzioni e non traendo da esso alcun particolare stimolo o spunto di riflessione. Un risultato che appare certo un po' singolare, alla luce dell'intenzione di costruire un film che fosse destinato "a tutti gli spettatori" e che non escludesse di essere motivo di approfondimento e (anche) possibile ripensamento per chiunque abbia, del personaggio, un'opinione precisa e strutturata.
Domandarsi quindi, di conseguenza, quale sia il senso e la necessità di un'operazione come questo Silvio Forever è un esercizio legittimo, forse dovuto; questo in considerazione innanzitutto dell'ingombranza del personaggio nell'arena, politica e mediatica, degli ultimi vent'anni di storia italiana, ma anche vista la confezione di per sé interessante dell'opera, che non rifugge il linguaggio dei nuovi media (l'accusa di vetustà, che pure abbiamo sentito, ci sembra quantomai ingenerosa) per costruire un documentario che appartiene di diritto al terzo millennio; anche per il peso che, per esplicita ammissione degli autori, il web ha avuto nel reperimento del materiale utilizzato. Su quale sia, tuttavia, l'urgenza, la necessità e il potenziale target di un film come questo, i dubbi ci sembrano molto forti: e almeno da parte nostra, e nonostante i motivi di interesse, fanno pendere la bilancia dalla parte dell'occasione persa.

Movieplayer.it

3.0/5