Recensione 7 km da Gerusalemme (2005)

A 7 km da Gerusalemme un pubblicitario in cerca di sè stesso incontra uno strano personaggio, aderente in tutto alla descrizione evangelica di Gesù Cristo. Un ottimo spot, penserà all'inizio, ma poi...

Un thè con Gesù

E' strozzata da una causa di un'azienda non trascurabile come la Coca Cola l'uscita nei cinema del film di Claudio Malaponti, 7 km da Gerusalemme. Causa intentata per un product placement non richiesto. In una scena infatti Gesù (ebbene sì, proprio lui) si gusta una lattina della famosa bevanda, sotto gli occhi basiti del suo compagno di strada, un pubblicitario ('Dio, che testimonial!' esclama uno stupito Luca Ward), e che costringerà il film a uscire con un mese di ritardo per effettuare gli opportuni tagli in post-produzione.
Si può ben capire da questa introduzione tratta dalla strettissima attualità come la pellicola distribuita da Mediafilm racconti una storia davvero particolare.

Luca Ward (che si doppia da solo, con una voce talmente precisa e pulita che l'effetto è quasi ridondante) è un pubblicitario di successo, che attraversa la classica crisi di mezza età. Per cercare una risposta alle sue incessanti domande di senso, si reca in Terra Santa ('vado lì perché non ho nulla di meglio da fare' dice), e si ritrova a percorrere la strada che da Gerusalemme portava a Emmaus, nello stesso percorso dei discepoli nell'episodio evangelico.
Lungo la strada incontra un uomo, dai capelli lunghi e dal saio polveroso, che si presenta come Gesù.
Inizia un percorso di riflessione, che si articola tra dialoghi impensabili ('ma sei davvero tu l'uomo della Sindone?') e flashback di incontri e amicizie che, alla luce di quell'uomo apparso nel deserto, acquistano un nuovo significato e una nuova prospettiva.

Malaponti si pone la domanda che tutti i cristiani, più o meno consciamente, si fanno dalla resurrezione in poi: "E se Cristo ritornasse ora nel mondo, lo riconoscerei?". La risposta è delegata al film, che viaggia sui binari di semplici metafore e allegorie immediatamente decifrabili (basti pensare al vecchio amico, abbandonato da tutti, che si chiama Giordano Bruni...), e che assume una posizione didascalica più che introspettiva, pacificante più che generatrice di domande e riflessioni.
L'intento è sicuramente buono, e si coglie anche uno sforzo notevole d'ambientazione e di credibilità scenica - la presenza di Ward, della Celentano e di Alessandro Haber lo testimoniano - così come interessante e ben articolato lo spunto di partenza.

Il problema del film risiede in una sceneggiatura poco accattivante, che tende ad infastidire sia coloro che sono in possesso dei codici di decifrazione di tutta una serie di colti riferimenti sparsi per il film, perché sviliti o banalizzati, sia coloro che, essendone sprovvisti o pregiudizialmente contrari, inquadreranno il film come semplicistica 'propaganda'.