Recensione Il mercante di Venezia (2004)

Per non sbagliare, Radford non osa mai nulla, e anche per questo l'intera rappresentazione appare più teatrale che cinematografica, per diventare a tratti addirittura soporifera in una cadenza dei ritmi davvero poco riuscita.

Un mercante senz'anima

Giocava quasi "in casa" il film di Michael Radford: per l'ennesima rilettura cinematografica del lavoro di William Shakespeare, debuttare proprio a Venezia sembrava un segno del destino se non un fantastico trampolino di lancio. Ma poi quello che conta è sempre il film, che in questo caso lascia purtroppo l'impressione di un lavoro a metà tra il compitino scrupoloso (ma comunque insipido) e il polpettone.

La storia è nota: siamo nella Venezia del XVI secolo e Bassanio (Joseph Fiennes) chiede ad Antonio (Jeremy Irons) tremila ducati per corteggiare Porzia, ereditiera di Belmonte. Antonio è ricco, ma i suoi soldi sono investiti in navi da carico ancora in viaggio.
Si rivolge allora all'usuraio ebreo Shylock (Al Pacino), che attende da tempo di vendicarsi di lui e gli propone una richiesta capestro: se entro tre mesi la somma non verrà restituita, Shylock avrà in cambio una libbra di carne del corpo di Antonio.

Radford, a parte qualche divagazione iniziale (fra l'altro la parte meno riuscita) in cui cerca di presentare i personaggi, l'ambiente e il contesto storico, si attiene perfettamente al testo shakesperiano. E questa non è certamente una colpa, se questa adesione non si risolvesse in una mancanza totale di guizzi, nella rappresentazione di una Venezia che per quanto magica e nebbiosa fa da sfondo spento e passivo a una vicenda che non riesce quasi mai ad appassionare. Perfino il tema dell'antisemitismo scivola via senza lasciare traccia, come l'amore di Antonio per Bassanio.

Per non sbagliare, Radford non osa mai nulla, e anche per questo l'intera rappresentazione appare più teatrale che cinematografica, per diventare a tratti addirittura soporifera in una cadenza dei ritmi davvero poco riuscita.
I piccoli sussulti, come la lunga scena del processo, sono dovuti tutti a un Al Pacino sempre immenso, capace di impersonare molto bene l'anima rabbiosa di Shylock. Ma insieme alla ricostruzione rigorosa dei costumi, è una delle poche cose da salvare, perché anche Jeremy Irons e Joseph Fiennes si rivelano dei comprimari capitati lì un po' per caso.

Movieplayer.it

3.0/5