Recensione Giorni perduti (1945)

Un'escursione dentro la bottiglia che evita il moralismo facile: un dramma sociale in tutta la sua crudezza che Wilder racconta, come al solito, in maniera magistrale.

Un lucido viaggio nel tunnel dell'alcolismo

Il disilluso Dan Miller (Ray Milland), apprendista scrittore a cui sono stati rifiutati quattro romanzi, smette di scrivere e incomincia a bere, diventando così un alcolista senza speranze. Nonostante i tentativi del fratello Wick (Philip Terry) e della fidanzata Helen (Jane Wyman) per far desistere il disperato a lasciar perdere per sempre il vizio, Dan trascorre le sue giornate con un unico pensiero fisso: trovare a tutti i costi i soldi necessari per comprare un'altra bottiglia di whisky.
Ma l'unico "medicinale" in grado di alleviare la sua disperazione diventerà ben presto un nemico difficile da sconfiggere, e Dan si troverà imprigionato nel tunnel del delirium tremens.

Il lucido viaggio di Billy Wilder nelle oscure piaghe dell'alcolismo sfugge al facile trabocchetto della retorica perbenista. Il regista evita di accusare chi per un motivo o per l'altro diventa schiavo della bottiglia e regala allo spettatore una pellicola ripulita da qualsiasi contenuto moralista.
Al centro della vicenda c'è un dramma umano che proprio per la sua crudezza realistica riesce a imporre una riflessione scevra di forzature. Le pareti della follia del protagonista sono dipinte con una stupenda fotografia a tinte espressionistiche e strutturate su un'architettura narrativa magistrale, continuamente in tensione. È un'escursione che nel suo dramma contiene anche una forte componente documentaristica.
Giorni perduti è, in parte, un diario di cronaca nera, distaccato e oggettivo da un lato e tuttavia subito lesto nello svelare le cause prime del malessere di chi non trova l'affermazione nella vita. Se a qualcuno crolla il sogno americano ci pensano i bar ad offrire i bicchieri di whisky conditi di speranza, e se non ci sono i soldi per pagare c'è sempre il banco dei pegni. Dan, dopo aver riposto la macchina da scrivere, lotta prima con la mancanza di denaro, poi con una famiglia che non comprende fino in fondo il nocciolo del problema. Infine contro di lui arriva il dito puntato dalla società: solo, finito nel ghetto senza confine degli ubriaconi, Dan sceglie di combattere contro sé stesso e i mostri dell'alcolismo e diventa così un vascello imprigionato nella bottiglia: i confini sono quelli della sua camera da letto, chiusa a chiave dal tappo della sua anima.

Esilarante e terribile la scena del brindisi della Traviata di Verdi, a cui Dan assiste in un teatro all'inizio del film. Il siparietto ha il merito di rivelare i veri protagonisti del film: bottiglie, bicchieri e fiumi di alcol, che in Giorni perduti sanno raccontare meglio dell'eccessiva teatralità degli attori il cerchio vizioso di un dramma sociale difficile da giudicare.