Recensione Feed (2005)

Dal regista de 'Il tagliaerbe' un thriller che ha la pretesa di mettere insieme le atmosfere malsane di Seven e Hostel, ma con risultati mediocri.

Un grosso, grasso thriller australiano

Tra le solite uscite tardive che riempiono i mesi estivi - ma non le sale cinematografiche - spicca questo Feed, un thriller diretto da Brett Leonard, che arriva nei nostri cinema con due anni di ritardo e che racconta la storia di un detective australiano, che nel corso di un'indagine tra i meandri del world wide web, scopre l'esistenza di comunità virtuali che riuniscono feeders e gainers, ovvero uomini che adescano donne obese per rimpinzarle di cibo - con il loro consenso - fino a costringerle all'immobilità ed a diventare quindi completamente dipendenti da loro, anche dal punto di vista psicologico. Quando il protagonista riesce a scoprire che uno dei feeders ha ucciso una donna, l'indagine si fa più serrata, ed egli sarà costretto ad addentrarsi in un mondo oscuro, in cui le relazioni tra uomini e donne si basano principalmente sul controllo psicologico degli uni sulle altre. I feeders non si limitano ad amare donne dai corpi floridi, ma vogliono dominarle ed al tempo stesso essere amati. Le continue richieste di cibi grassi, da parte delle donne, diventano ai loro occhi richieste d'amore.

Tra i protagonisti del film ritroviamo alcuni attori che avevano già lavorato con Leonard nell'horror fantascientifico Man-Thing: l'australiano Matthew Le Nevez, Patrick Thompson ed Alex O'LoughlinAlex O'Loughlin, insopportabile nel ruolo di un sadico dalla chioma platinata e il sorriso sprezzante. In questo contesto ad O'Loughlin e Thompson si deve anche l'idea che è alla base del film, che sfrutta uno dei temi più discussi degli ultimi anni, come quello dei disturbi alimentari in una società ossessionata dall'aspetto fisico, senza però approfondirlo, ma concentrandosi sull'aspetto morboso della questione.

Con Feed il regista de Il tagliaerbe confeziona un thriller che ha le pretese di avere le atmosfere malsane di un capolavoro come Seven e la struttura da fiera degli orrori - e del disgusto, soprattutto - di pellicole come Hostel, ma con risultati mediocri. A suscitare l'interesse dello spettatore, non bastano infatti le atrocità perpetrate nei confronti delle vittime - una delle quali costretta addirittura ad ingurgitare grasso umano - i continui rimandi a vicende di cronaca nera e neanche i traumi che segnano in modo indelebile la sessualità del detective e del suo antagonista: il vero problema è la sceneggiatura, infarcita di dialoghi banali che vorrebbero essere d'effetto, ma dopo qualche minuto risultano insostenibili. A peggiorare le cose c'è una colonna sonora poco calzante che accompagna in maniera inadeguata i momenti clou del film, l'incoerenza stilistica del montaggio e della fotografia, in bilico tra la sensualità patinata da videoclip e il solito susseguirsi di inquadrature serrate che caratterizza numerosi thriller degli ultimi anni.

Movieplayer.it

2.0/5