Recensione Abandon - Misteriosi omicidi (2002)

Stephen Gaghan debutta dietro la macchina da presa con un thriller dai risvolti psicologici, piuttosto banale nelle sue linee guida, recitato discretamente e diretto in maniera un po' patinata ma dignitosa.

Un film abbandonato a se stesso

Katie Burke è una delle migliori studentesse di un prestigioso college americano; è alle prese con la sua tesi ed è in pole position per ottenere un ambitissimo lavoro presso una famosa ed esclusiva società di consulenza. Tutto sembrerebbe andare per il verso giusto, se non fosse che la pressione comincia a farsi sentire, e che lo stress viene accentuato quanto riprendono con intensità le indagini sulla sparizione di Embry, l'ex di Katie, un giovane ricchissimo, bellissimo, intelligentissimo che un giorno ha piantato lei e tutto il resto svanendo nel nulla. La ragazza aveva impiegato oltre due anni per liberarsi del fantasma di lui, che invece ora ripiomba inquietantemente nella sua mente e nella sua vita...

Lo sceneggiatore Stephen Gaghan, dopo aver firmato gli script di film come Regole d'onore di William Friedkin e Traffic di Steven Soderbergh, debutta dietro la sua macchina da presa con un thriller dai risvolti psicologici, piuttosto banale nelle sue linee guida, recitato discretamente e diretto in maniera un po' patinata ma dignitosa.
Ma i problemi di Abandon - Misteriosi omicidi vanno purtroppo oltre queste mediocri premesse: due sono principalmente i grandi limiti del film di Gaghan. Il primo è quello di non essere in grado di mantenere alto il tasso di suspense legato alla trama thriller: non c'è alcun senso di mistero nella sparizione del giovane Embry, né a quello del suo presunto ritorno, e chiunque abbia un minino di dimestichezza con il genere comprende subito la chiave del "mistero".
Questo primo limite è poi strettamente connesso al secondo, che ne è una causa diretta: in Abandon non esiste una struttura narrativa chiara e precisa, elemento irrinunciabile in qualsiasi forma di racconto. Lo spettatore viene confuso e sballottato da un aspetto della storia all'altro, e non si capisce se il nucleo, il fuoco della storia sia la sparizione del ragazzo, o la lotta di Katie contro sé stessa per raggiungere i suoi sogni, o la storia d'amore che nasce tra lei ed il giovane poliziotto incaricato delle indagini su Embry. Non si capisce dove il film voglia in realtà andare a parare, indeciso tra quali tra i tanti fili della narrazione sia quello principale intorno al quale tutti gli altri si devono andare ad arrotolare.

È in fondo un peccato che Abandon abbia questi gravi difetti, che fanno passare inevitabilmente in secondo piano alcuni elementi positivi. Tra di essi un'interpretazione di Katie Holmes non certo da Oscar ma funzionale e riuscita; sarebbe stato opportuno sfruttare meglio le complessità e le sfumature psicologiche del suo personaggio, che sarebbe così potuto risultare molto più interessante di quello che è.
E anche la regia di Gaghan, da un punto di vista visivo, presenta alcune soluzioni forse non originalissime ma interessanti per un esordiente.

Ma tutto questo purtroppo non è sufficiente in alcun modo per promuovere il film, a dimostrazione del fatto che le basi della narratologia sono qualcosa d'irrinunciabile a chiunque voglia cimentarsi nel racconto filmico, anche nell'era eterea, flashata e patinata dell'estetica di MTV.