Recensione Dick Tracy (1990)

Se non si considera il plot, così esile ed ordinario, il film di Beatty vanta una splendida fotografia, affidata a Vittorio Storaro che riesce a ricreare con luci e colori ben definiti e brillanti le atmosfere da fumetto nel contesto del quale nasce il personaggio di Dick Tracy

Un film a due dimensioni

Il capriccioso ed arrogante gangster Big Boy Caprice, si decide ad eliminare il suo rivale Manlis sotto una colata di calce e ad accaparrarsi tutto quanto sia suo, dal suo giro di loschi affari alla sensuale Mozzafiato Mahoney, cantante del night club "Ritz". Il detective Dick Tracy cerca di porre fine all'espansione di Big Boy incastrandolo, ma il gangster riesce sempre a cavarsela e ad uscire di prigione. In aiuto di Tracy i suoi due fidati collaboratori, un vispo ragazzino che viveva di piccoli furti e che il detective ha "adottato" e la fidanzata Tess. L'ambigua Mahoney, stufa delle angherie di Big Boy, sopraggiunte alle disgustose scorpacciate di ostriche di Manlis, cerca di sedurre Tracy ma non sembra intenzionata ad aiutarlo ad incastrare il gangster.

Se non si considera il plot, così esile ed ordinario, il film di Warren Beatty vanta una splendida fotografia, affidata a Vittorio Storaro che riesce a ricreare con luci e colori ben definiti e brillanti le atmosfere da fumetto nel contesto del quale nasce il personaggio di Dick Tracy, ma oltre i colori saturi e le belle scenografie volutamente "false" e surreali, il film risente soprattutto di una sceneggiatura talmente inconsistente che neanche i virtuosismi del cast stellare - annegati sotto strati e strati di make up - riescono a risollevare: si distinguono tra gli altri Al Pacino che nonostante sia quasi irriconoscibile, riesce a far affiorare il suo personaggio sulla superficie spessa di lattice che lo ricopre ed a dargli una personalità irresistibile, da ragazzone viziato e dispettoso; Dustin Hoffman nel piccolo, delizioso ruolo di Borbotto, riesce regalare al film un po' dell'ironia che gli manca, supportato da Kathy Bates nei panni di una dattilografa impossibilitata a mettere per iscritto i suoi mugolii.

Per il resto, Warren Beatty è uno dei pochi a recitare "al naturale" ma risulta inespressivo almeno quanto Paul Sorvino "imprigionato" nelle fattezze artificiali di Manlis; Madonna non è al suo meglio, e le poche scene in cui rende di più, ovvero quelle in cui canta, spesso sono sacrificate da un montaggio inadeguato, che contrappone - ad esempio - un brano avvolgente e caldo come "Sooner or Later" ad immagini serrate di sparatorie, attentati e lotte tra la malavita e la polizia, e per il resto, tra battute un po' più tiepide di quelle che si potrebbero attribuire a Mae West, e splendidi costumi che ricordano quelli di Marlene Dietrich in Shanghai Express realizzati da Milena Canonero, non riesce ad infondere un po' del suo carisma e del suo fascino, al suo personaggio.

Un film riuscito solo in parte, che ha il merito di aver lanciato un filone che ancora oggi resiste e dal quale il cinema continua ad attingere idee, ma che resta eccessivamente ancorato alla dimensione fumettistica e risulta poco credibile ed avvincente come trasposizione cinematografica, nonostante sia visivamente ineccepibile, e possa contare sulla splendida colonna sonora di brani classici riarrangiati nello stile degli anni '30, tuttavia la storia e la caratterizzazione psicologica e fisica dei personaggi rimangono bidimensionali, come se non fossero mai usciti dalle tavole di Chester Gould.

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3.0/5