Recensione My Summer of Love (2004)

Una pellicola apprezzabile, quest'opera seconda di Pawel Pawlikowski, che rifugge con intelligenza facili stereotipi per narrare una storia in fondo universale.

Un'estate di amore e rivelazioni

E' un'estate come tante, in un piccolo paesino dello Yorkshire. Mona vive con suo fratello Phil, "abbagliato" dalla fede dopo un periodo trascorso in carcere per risse e rapine; il giovane ha smantellato il pub che gestiva per trasformarlo in un centro di preghiera. Tamsin è invece ricca, annoiata, e trascorre gran parte del suo tempo da sola, con i genitori quasi sempre fuori casa; ma nel suo passato c'è anche una tragedia, la morte per anoressia di sua sorella. L'incontro tra le due ragazze sarà l'occasione per una "fuga" da una realtà che, per diversi motivi, è per loro squallida e opprimente; ma, oltre che con la mentalità retrograda e perbenista degli abitanti della cittadina, Mona e Tamsin dovranno fare i conti con il fanatismo di Phil, convinto che il diavolo si sia impossessato delle loro vite.

E' aspro, il tono scelto da Paul Pavlikovsky (alla sua seconda prova da regista dopo Last Resort, premiato ai BAFTA e al Festival di Edimburgo nel 2000) per questa storia d'amore adolescenziale (il tema dell'omosessualità non è in fondo che una delle sue componenti, e nemmeno la più importante) imperniata sui sogni di due ragazze e sul loro scontro con una realtà sociale patologicamente incapace di comprendere. La sceneggiatura, controllata e realistica, sottolinea come caratteri molto diversi possano fondersi e completarsi, in un periodo della vita in cui si tende a vivere certe situazioni come "assoluti": Mona è timida e si sente abbandonata da suo fratello, perso nella sua ossessione religiosa, Tamsin è malinconica e ha comportamenti che sfiorano l'autodistruttività, ma è altrettanto sola e allo sbando. Un'unione sentita dalle due giovani come "salvifica", esattamente come la fede di Phil, sullo sfondo di una brughiera apparentemente sconfinata, sempre invasa dal sole: luogo mentale prima che fisico, spazio che rappresenta il confine con la libertà sognata, che contrasta con il carattere chiuso e opprimente di una cittadina che vista dall'alto, usando le parole delle due ragazze, appare diversa, più vivibile. Insiste sui totali, la regia di Pavlikovsky, sugli esterni "bagnati" dalla luce solare, sui rituali dell'amore immersi nella realtà climatica (in senso letterale e figurato) della stagione estiva, quella ideale in cui far conflagrare un rapporto che assume gli inevitabili connotati dell'assolutezza.

La sceneggiatura non sceglie un facile tono elegiaco, ma al contrario mette il dito nella piaga della crudeltà e della manipolazione, delle speranze che si infrangono contro la meschinità e la bassezza umane, della fine del sogno che si accompagna alla fine della stagione in cui questo si è generato. E' apprezzabile anche, da parte del regista e del co-sceneggiatore Michael Wynne, la scelta di gettare uno sguardo tutt'altro che "giudice", ma anzi ricco di comprensione, sul personaggio di Phil, anch'egli alla ricerca (a suo modo) di una via d'uscita da una realtà incomprensibile, che spaventa: una scelta che ha evitato un manicheismo in cui sarebbe stato fin troppo facile cadere raccontando una storia d'amore in cui l'ossessione religiosa rappresenta un elemento ostacolante. Non si può che apprezzare, inoltre, la recitazione delle due protagoniste, entrambe esordienti, entrambe perfette per dar vita a personaggi che si "trasformano" (o piuttosto svelano gradualmente diversi lati della loro personalità) nel corso della storia, a cui si unisce un altrettanto valido Paddy Considine (già con il regista nel suo film precedente, e visto anche nel recente In America di Jim Sheridan) nel difficile ruolo di Phil.

Premiato anch'esso ai BAFTA e a Edimburgo, questo My summer of love è in definitiva una pellicola da consigliare, che ha il merito di rifuggire facili stereotipi per narrare una storia in fondo universale; un'opera caratterizzata da un taglio realistico e contrassegnata da un'amarezza sempre presente, che non esclude tuttavia l'ottimismo dell'intelligenza. Un ottimismo che guadagna gradualmente il suo spazio nel ricordo dello spettatore, man mano che il film viene "rivisto" mentalmente, e che porta alla convinzione che una storia del genere, in fondo (per noi come per le due protagoniste), valeva proprio la pena viverla.

Movieplayer.it

3.0/5