Recensione Un amore su misura (2007)

Tratto dal libro di Vittorino Andreoli, l'ultimo film di Renato Pozzetto mette in scena un cliché dopo l'altro, accumulando situazioni e concetti di dominio pubblico fino alla saturazione del già visto.

Un elogio dell'imperfezione

Un uomo grigio in una città grigia torna a casa con un grosso pacco; lo apre ed esce una moglie su misura, bellissima e disponibilissima, innamorata oltre ogni dire e pronta ad essere perfetta. Questo lo spunto di trama del nuovo film di Renato Pozzetto questa volta anche regista di un film che, raccontando il tentativo di un disperato ingegnere di rivolgersi alla scienza per avere ciò che la vita gli ha negato (una vita sentimentale di coppia felice), capisce che l'amore non si costruisce a tavolino e che la perfezione è frutto di un cammino e non qualcosa che si può ottenere di punto in bianco.

In molti dalla sola trama avranno già capito che cosa li aspetta, e non hanno sbagliato. Questo film, che dovrebbe segnare il grande ritorno di Renato Pozzetto al cinema, in piena linea con il suo stile malinconico e surreale, in realtà non è nulla di tutto ciò (né surreale, né un ritorno).
Un amore su misura è un film sbagliato già prima che cominciassero le riprese, un progetto che in sé è banale e privo di qualsiasi interesse, tratto da un libro (Yono-Cho di Vittorino Andreoli) che se non altro ha il merito di soffermarsi molto sulla dimensione sessuale di un simile rapporto e sulle soddisfazioni tutte animali che provoca. Il film invece descrive un mondo che procede per accumulo di stereotipi: dai giapponesi ipertecnologici ma freddi al cinico dipendente di una multinazionale che poi ha problemi con la sua famiglia, dai gay effeminati allo spietato mondo dello spettacolo. E il risultato di un tale accumulo è chiaramente a sua volta un cliché: l'uomo che ha bisogno delle sue imperfezioni per essere felice.
Consolatorio fino al midollo e assolutamente non divertente (ma del resto non vorrebbe nemmeno esserlo), Un amore su misura riesce nella difficile impresa di non avere il minimo spunto di interesse, nessuna idea di nessun tipo, tanto che pure una brava professionista come Anna Galiena sembra fuori luogo.

Mentre potrebbe attenderlo una seconda giovinezza come caratterista al servizio delle nuove leve della commedia, Pozzetto preferisce continuare su una strada autonoma e, come già nei suoi ultimi film, non fa altro che mostrare storie che confermano allo spettatore tutto quello di cui è già convinto. Prende concetti di dominio pubblico e li mette in scena senza la minima velleità d'approfondimento. E neppure la collaborazione con il suo compare storico Cochi Ponzoni riesce a dare un minimo di interesse ad una pellicola che, dispiace farlo notare, ha avuto i finanziamenti dal ministero dei Beni Culturali.