Recensione Deliria (1987)

Un lungo passo a due nel delirio tra uno squilibrato travestito da barbagianni e un'intrepida eroina. Piume finte d'uccello e cadaveri dissezionati nel ruolo di protagonisti non richiesti, aprono il sipario su un'orripilante messinscena della follia. Deliria è uno dei migliori horror all'italiana di sempre.

Un barbagianni di sangue

Classico film dell'horror italiano anni Ottanta, l'opera prima di Michele Soavi (accreditato come Michael Soavi nei titoli di testa) è anche una delle migliori pellicole del periodo (vincitrice nel 1988 del Primo Premio al Festival di Avoriaz).

Sorta di amplificazione del concetto slasher di baviana memoria, Deliria è un sottilissimo gioco al massacro (sulla falsariga dei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie) messo in atto nel claustrofobico spazio di un teatro di posa (scrutato in lungo e in largo dalla macchina da presa di Soavi). Il "falso" attacco alla Brian De Palma (la rappresentazione scenica) è l'involucro che contestualizza immediatamente la progressiva sutura tra finzione e realtà, avviando il metodico bagno di sangue che seguirà ad opera del feroce psicopatico vestito da barbagianni. La scena clou in questo senso (che merita veramente l'ingresso negli annali dei trionfi orrorifici del cinema di tutti i tempi) è quella in cui l'assassino "allestisce" sul palcoscenico, con macabro senso della scenografia, i cadaveri smembrati con l'accompagnamento incalzante dell'Ottava sinfonia di Shostakovich. E' un momento veramente difficile da dimenticare, in cui la magnificazione assoluta della tradizione splatter-gore è attuata in surplus, nell'immobilità irreale dell'esposizione dei corpi-oggetto.

Dopo aver trascorso tanti anni a stretto contatto con mostri sacri del calibro di Lucio Fulci, Joe D'Amato (In Deliria nella veste di produttore) e Dario Argento, il regista lombardo (che impersona il poliziotto che crede di somigliare a James Dean) dimostra al suo esordio di avere bene in mente l'armamentario tipico del cinema horror. Tra momenti francamente imbarazzanti per lo spettatore d'oggi (per via anche della sceneggiatura "d'annata" di Luigi Montefiori, il George Eastman che recitò in Antropophagus e in Rosso sangue di D'Amato), scelte di montaggio straordinarie e una colonna sonora d'effetto scritta da Simon Boswell (che verrà utilizzata in seguito anche per La casa 3 di Umberto Lenzi), Deliria resta indiscutibilmente un caposaldo del cinema italiano di genere. Merito anche di attori come David Brandon (il regista Peter che è quasi un alter ego sghembo di Joe D'Amato) e, soprattutto, l'immancabile protagonista femminile Barbara Cupisti (Alicia). L'unica a resistere, come da consuetudine, al "richiamo" omicida dell'uccello impazzito.