Recensione Baciami piccina (2005)

Baciami piccina è un film che viaggia sui binari rassicuranti di stereotipi all'italiana, mostrando il fianco a incongruenze e imprecisioni. Ci offre però un finale dolente e necessario

Un bacio freddo e amaro

"Ma che razza di uomini siete!? Non c'è nome che possa definirvi!"
Questo il doloroso, lancinante urlo di Raoul Nuvolini, piccolo truffatore e maneggino che entra in drammatico contatto con le divise grigie delle SS naziste. L'urlo spezza la pacatezza della campagna veneta, la leggerezza di un uomo che dell'ironia e della dotta citazione ha fatto il suo stile di vita.
Il panama sulle ventitré, la giacca bianca, Nuvolini, un bravo Vincenzo Salemme, si trova di colpo di fronte alla tragedia della vita. Il suo è un piccolo mondo antico, pieno di accortezze, usanze e modi di pensare di qualcuno che, nonostante tutto, cerca di cavarsela a buon mercato davanti al grande rullo compressore della storia.

Sulla canzone da cui il titolo, che è paradigmatica dell'universo di riferimento del personaggio (universo material-valoriale, non morale), si chiude amaramente l'avventura di una vita vissuta (poco) pericolosamente, ma che, nel momento del suo compimento, si assolutizza a paragone e a monito per tutti.
La penultima sequenza, quella descritta, e quella seguente, la conclusiva, sono il punto ingenuamente più alto di tutta la pellicola di Roberto Cimpanelli, al suo secondo film, che mette in scena tutta una serie di lunghe banalità e di incongruenze faticosa, per giungere a quel finale necessario.
Baciami piccina nasce da una illuminata idea di Sergio Citti, ma si sviluppa come un classico (nel senso deteriore del termine) film all'italiana. Una commedia che non fa ridere, un dramma che non porta a commuoversi. Il semplice e minimalista confronto tra due maschere del cinema italiano: il brigadiere tutto d'un pezzo, Neri Marcorè, che, alla vigilia dell'8 settembre parte da un paesino del Lazio per tradurre un arlecchino dal cuore buono e dalla citazione nobile (il già citato Salemme) al tribunale di Venezia. E che proseguirà indefessamente nonostante tutto, dopo l'armistizio badogliano, gli rovini addosso senza che nemmeno se ne accorga. E il truffaldino più per piacere che per necessità, che ama crogiolarsi nella spensieratezza e nella citazione elevata.
Un confronto che, con la melensa aggiunta di un'immancabile figura femminile, la fidanzata del brigadiere, non aggiunge nulla a quel che il cinema italiano ha sempre raccontato di quel periodo.

Fino a quel finale scarno e doloroso, reso quasi agghiacciante da una morbida voice-off femminile, che rivive retrospettivamente "gli anni belli della vita".
Una pulsione comunicativa così urgente poteva ben non essere ammantata da moine ed equivoci tipici della commedia all'italiana, che tra l'altro incidono assai blandamente sul già poco humor della pellicola.
Un incrocio poco riuscito di dramma all'italiana dai risvolti comici, che si incarta su due stereotipi di personaggio già ampiamente codificati dalla cinematografia nostrana.
Niente di nuovo sul fronte occidentale, anche se quel finale ha la violenza di una pallottola.