Recensione L'amore ai tempi del colera (2007)

Per apprezzare questo film ci si deve calare nello spirito sudamericano, nelle sue coloriture a volte grottesche, nei simbolismi, in quelle che, agli occhi di un europeo, possono sembrare forzature che non sfigurerebbero in una telenovela.

Un amore che attende cinquant'anni

Florentino Ariza (Javier Bardem), giovane telegrafista con l'animo di un poeta, non sa che consegnando un telegramma senza risposta nella casa del 'nuovo ricco' Lorenzo Daza (John Leguizamo) la sua vita cambierà per sempre.
Qui infatti incrocerà lo sguardo con quello della figlia di Lorenzo, Fermina (Giovanna Mezzogiorno) e, per Florentino, sarà Amore: eterno, devastante, ossessionante.
Fermina pare ricambiare il sentimento di Florentino e i due, in segreto, si scambiano lettere e pegni d'amore, finché il padre scopre il legame e, sognando per la figlia un matrimonio con un uomo 'alla sua altezza', strappa violentemente Fermina dalla sua esistenza a Cartagena, in Colombia, per condurla lontano, in un piccolo villaggio sui monti, dove la giovane troverà unico conforto nella cugina Hildebranda (Catalina Sandino Moreno).

Florentino soffre, Cartagena è colpita dal colera: ma il tempo continua inesorabile il suo corso, finché Fermina ritornerà, decisa a non rivedere mai più il giovane. "E' solo un'ombra", dichiarerà alla cugina. Non solo: Fermina sposerà il medico benestante Juvenal Urbino (Benjamin Bratt), che pare amarla, e partirà con lui alla volta di Parigi, dove la coppia rimarrà per molti anni.
A Florentino, sempre più disperato, non resterà che attenderla, sperando nella morte del marito. Diverrà proprietario della Compagnia Fluviale del Caribe, collezionerà un numero impressionante di amanti, mentre il suo amore per Fermina diverrà sempre più saldo. Finché un giorno la donna fa ritorno a Cartagena...

L'amore ai tempi del colera nasce dalla volontà indomita del produttore Scott Steindorff di ottenere i diritti del romanzo omonimo del 1985 (edito in Italia da Mondadori) dello scrittore Premio Nobel Gabriel García Márquez: dopo un corteggiamento durato due anni, Steindorff l'ha spuntata, convincendo lo scrittore che il film sarebbe stato il più fedele possibile al testo originale e affidando il delicato compito allo sceneggiatore Ronald Harwood (Il pianista). A tutto ciò si è aggiunta la sensibilità del regista Mike Newell e di un cast in cui primeggia Javier Bardem, che dà credibilità e spessore al personaggio 'sopra le righe' di Florentino.

Difficile compito per Bardem, dato che era facile far cadere il protagonista nel macchiettistico, renderlo, più che un animo candido devoto al dio Amore, un gaudente sempliciotto e patetico.
Per apprezzare questo film ci si deve calare nello spirito sudamericano, nelle sue coloriture a volte grottesche, nei simbolismi, in quelle che, agli occhi di un europeo, possono sembrare forzature che non sfigurerebbero in una telenovela.
Non è facile dimenticare Florentino che, pieno di passione, mastica petali di fiore, dà la buona notte al suo amore lontano, la sua "dea incarnata", si precipita da lei non appena suonano le campane a morto. Tanto più è difficile dimenticare le avventure dell'uomo, che annota i nomi e le caratteristiche delle centinaia delle sue donne in un libriccino sempre più vergato di inchiostro. Florentino non mente quando, ormai ultrasettantenne, dirà a Fermina di essersi mantenuto vergine per lei: l'amore per Fermina si è nutrito, per non appassire, delle emozioni che le altre donne davano all'uomo, che così restava uno spirito giovane, pronto per il momento inevitabile dell'unione con la donna amata, ben più amareggiata e vecchia 'dentro' di lui.

Un'attesa di cinquant'anni che per Florentino non è mai stata rimpianto (al contrario di Fermina) ma speranza: e la speranza rende vivi e non ha confini. Non si tratta del processo di cristallizzazione amorosa, di idealizzazione, di perfezione ideale del non compiuto: è Fermina che parla di illusione, Florentino conosce solo il sapore ben più soddisfacente della realtà.
E il colera del titolo, che colpisce Cartagena e i villaggi colombiani a ondate misteriose, assume molteplici significati: è quello che allontana Fermina da Florentino che, creduta malata di colera, conosce così il futuro marito; lascia le cittadine e i villaggi abitati da sopravvissuti, come sono, in senso diverso, i due protagonisti; va e viene, come Fermina a Cartagena; ma è anche un alleato imprevisto in un toccante viaggio d'amore tra due vecchi che, finalmente, si ritrovano.
Per il 'giovane' Florentino è il compiersi del destino; per Fermina l'inizio della vita.