Recensione Alien (1979)

Scott dirige il film horror perfetto, realizzando allo stesso tempo un metro di paragone per i film successivi e rinnovando la visione dello spazio. In una parola: capolavoro.

Un alieno a caccia di umani

Quando ci si trova di fronte alle pietre miliari del cinema, viene spontaneo chiedersi che coscienza avesse l'autore dell'imponenza del lavoro che stava realizzando, di quanto consapevoli fossero le sue scelte o di quanta casualità ci sia nella perfezione risultante da queste.
Alien è un perfetto esempio di perfezione cinematografica e uno dei casi in cui le nostre menti possono giocare a smembrarne la compattezza per cercare sensi e significati nascosti.
Che questi significati ci siano o meno, non cambia il fatto di trovarsi di fronte a un lavoro saldo, coerente, compatto, viscerale.
Ridley Scott dirige un horror claustrofobico, malato, sporco. Si, horror perchè da subito vanno fugati i dubbi di chi viene tratto in inganno dall'ambientazione, quello spazio profondo in cui "nessuno può sentirti urlare": Alien è un horror al pari di Psycho, de L'esorcista, di Shining. L'astronave di Scott potrebbe essere una nave mercantile (cosa che in realtà è), così come il sotterraneo di un castello, o un nebbioso villaggio inglese, o l'Overlook Hotel. La nave spaziale è solo il set di una caccia a parti invertite (o forse solo reciproche): perchè è l'alieno a dare la caccia all'equipaggio della nave, l'animale a cacciare gli uomini, perfettamente a suo agio, adattato, inserito, in un intrico di cunicoli intrecciati di tubature, viscidi e sporchi.

Assistiamo a una rivoluzione nell'immaginario dello spettatore: lo spazio non è più quello asettico imposto da Stanley Kubrick dieci anni prima con 2001: odissea nello spazio, ma uno spazio vissuto e vivo, in cui l'equipaggio di una nave mercantile è composto da manovali, magazzinieri, operai dello spazio, con i loro problemi salariali, la loro rozzezza nel parlare e nell'agire.
Ottimi gli attori che lo seguono in questa operazione di inquinamento dello spazio, dando vita a dei caratteri di grande impatto, capeggiati dall'eccezionale Sigourney Weaver, capace di dar vita a un personaggio che avrebbe cambiato permanentemente il modo di vedere l'eroe di un film e assumendo un'importanza notevole soprattutto per i ruoli femminili che l'avrebbero seguita.

Fondamentali nella riuscita del lavoro di Scott, le scenografie di Michael Seymour e la fotografia di Derek Vanlint, che, accompagnate dalla musica di Jerry Goldsmith, creano una miscela esplosiva e malsana e fanno da sfondo perfetto per il ritmo malato, lento e dilatato che il regista vuole dare al film.
Ogni inquadratura ha la giusta durata, ogni luce è al post giusto, ogni suono evoca ansia, ogni tubatura, ogni cavo della nave perfettamente inquadrato, con una cura dei dettagli notevole.
E il tutto porta all'entrata in scena del vero protagonista del film: l'alieno.

La visualizzazione del mostro da parte di H.R. Giger rasenta la perfezione, ma è anche qui la sapienza di Scott ad averne saputo sottolineare il lavoro. Il mostro è concettualmente e visivamente perfetto: la sua costruzione come predatore, i suoi movimenti, i suoi versi, la sua mancanza di pietà, il suo essere macchina di morte, il tutto converge coerentemente nell'immagine che Giger dà di lui, coadiuvato brillantemente dal punto di vista tecnico/pratico, nella realizzazione meccanica della testa dell'alieno, da Carlo Rambaldi, qui ad una delle sue creazioni più potenti.

Si potrebbe parlare ore dei singoli aspetti del film, si potrebbe, come ho detto, smembrare per analizzarlo passo passo, ma il rischio è di togliere fascino a quello che in definitiva è un perfetto e viscerale film horror, come ce ne sono pochi, e che quasi nessuno è riuscito ad imitare.
Con intelligenza e saggezza, lo stesso James Cameron ha deciso di allontanarsene bruscamente per il suo seguito, Aliens, realizzando a sua volta un capolavoro in altro campo, quello dei film d'azione.

Movieplayer.it

5.0/5