Recensione Rosso come il cielo (2005)

La levità con la quale la narrazione scorre fluida accosta lo spettatore a problematiche dolorose, attraverso le esperienze di un gruppo di bambini dei quali, dopo poche sequenze, dimentichiamo la condizione.

Tutti i suoni del buio

Mirco Mencacci nasce in Toscana nel 1961. A dieci anni rimane vittima di un incidente domestico che gli costerà per sempre la vista.
Di fronte alla nuova condizione del figlio, i genitori vengono costretti dalle leggi vigenti a mandarlo a Genova, nel migliore Istituto dell'epoca per non vedenti.
Negli anni durissimi della contestazione giovanile, Mirco affronta la sua nuova condizione entrando in conflitto con le dure regole dell'Istituto ma coltivando uno straordinario talento per la narrazione sonora. Questo farà di lui uno fra i migliori montatori del suono dei giorni nostri.
Direttamente ispirato alla vera storia di Mirco Mencacci, Rosso come il cielo si rivolge in modo nuovo alla condizione dei non-vedenti presentati e percepiti sotto una luce diversa da quella del falso pietismo.

Approdato alla regia dopo esperienze free-lance per periodici di rilievo e produzioni illuminate - si ricorda il Nastro d'argento per Saimir nel 2006 - Cristiano Bortone ha la lucidità narrativa del cronista che vuole raccontare la verità. Rosso come il cielo non è che il risultato finale di un lavoro di studi e documentazione nell'ambiente dei non vedenti che ha fruttato, parallelamente alla regia del film, la realizzazione del documentario Altri occhi che narra le vicende di due bambini ciechi. L'intenzione è affiancare ad una pellicola cinematografica un risvolto più realistico vivendo coi piccoli protagonisti la realtà quotidiana. Presentato al Festival di Torino e a quello di Aubagne, è già stato venduto in più di quindici territori stranieri insieme a Rosso come il cielo, col patrocinio del Comune di Roma, regione Lazio e Toscana e Agis scuola.

Altri occhi, ma ancor di più Rosso come il cielo, mostrano nuovi approcci didattici ad un mondo sconosciuto e vincolato da forti barriere sociali.
La levità con la quale la narrazione scorre fluida accosta lo spettatore a problematiche dolorose, attraverso le esperienze di un gruppo di bambini dei quali, dopo poche sequenze, dimentichiamo la condizione. L'argomento, indubbiamente spinoso, si arricchisce così di un piccolo idillio tra Mirco e Francesca, dei bisticci fra compagni di scuola, della ribellione alla gestione repressiva del direttore, elementi che lasciano in secondo piano qualche errore nel montaggio e le sequenze di lotta sociale male assortite.
Bortone non è Amelio, ma il suo cast di bambini, per lo più non vedenti, crea magia sullo schermo, anche per quell'ingenuità con cui alcune battute sono poco spontanee o la sceneggiatura diventa banale.
Fondamentale l'uso del sonoro in questa produzione che si è avvalsa di una qualificata equipe di sound designer i quali, per la prima volta, hanno contribuito non a rifinire il film, bensì a creare coralmente con gli altri tecnici, l'atmosfera che avrebbe guidato la realizzazione del film.

Da La guerra dei bottoni a L'attimo fuggente sono molte le pellicole che sembrano aver ispirato la regia, ma la magia de La favola sonora, la sua realizzazione, il sogno di bambini che diventa realtà attraverso l'accostarsi a mille diversi suoni alla ricerca di quello giusto, è questa che rende unico questo piccolo film che non deve passare inosservato.