Tutti i soldi del mondo: il sequestro Getty raccontato da Ridley Scott

In uno dei film più controversi dell'anno, il veterano Ridley Scott mette in scena la cronaca del rapimento, nell'Italia del 1973, del nipote sedicenne di Jean Paul Getty, l'uomo più ricco del pianeta: la recensione del crime drama interpretato da Michelle Williams, Mark Wahlberg e Christopher Plummer.

Tutti i soldi del mondo: Ridley Scott e Michelle Williams sul set del film
Tutti i soldi del mondo: Ridley Scott e Michelle Williams sul set del film

C'è una ragione ben precisa per la quale Tutti i soldi del mondo, a prescindere da qualità artistiche o dal responso commerciale, sarà ricordato a lungo, e prima o poi potrebbe addirittura ispirare un film basato sulla sua problematica realizzazione. Perché se negli annali del cinema non mancano gli aneddoti di sostituzioni in corso d'opera (si pensi al drammatico 'valzer' di registi sul set di Via col vento), l'azzardatissima impresa compiuta da Ridley Scott in questo caso appare davvero più unica che rara.

Lo scandalo sugli abusi sessuali che nell'ottobre 2017 ha travolto l'attore Kevin Spacey, decretando di fatto la fine della sua carriera (perlomeno per i prossimi anni) e un inevitabile danno d'immagine per la pellicola, ha convinto infatti Scott ad optare per la più drastica delle soluzioni: un repulisti che ha letteralmente cancellato Spacey dal film, con l'ottantottenne Christopher Plummer chiamato a rigirare in fretta e furia tutte le sue scene nell'ultima decade di novembre (tre mesi dopo la fine delle riprese) e una frenetica post-produzione affinché Tutti i soldi del mondo non subisse rinvii e approdasse nelle sale americane a Natale.

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Il film che visse due volte

Tutti i soldi del mondo: Christopher Plummer in una scena del film
Tutti i soldi del mondo: Christopher Plummer in una scena del film

Una missione quasi impossibile, e magari discutibile nel merito, ma assolta dall'infaticabile regista inglese con diabolica puntualità. Se il risultato ripagherà gli sforzi, perlomeno da un punto di vista economico, è un altro discorso, per quanto le premesse non siano fra le più rosee, dato il modesto esordio negli Stati Uniti a fronte di una spesa di oltre cinquanta milioni di dollari; mentre rimane la consapevolezza di un'altra versione del film, con un Kevin Spacey invecchiato di vent'anni mediante una maschera di make up, condannata alla damnatio memoriae insieme al suo interprete originale (e chissà che un giorno tale versione non riaffiori nel mare magnum degli alternative cut). Nel frattempo, questa travagliata produzione girata fra l'Inghilterra e l'Italia offre a Christopher Plummer un ruolo che gli calza a meraviglia: non solo per la sua prossimità anagrafica all'ottantenne magnate del petrolio, ma per la presenza scenica, l'istrionismo ben temperato e la sottile vena mefistofelica del suo personaggio.

Tutti i soldi del mondo: Christopher Plummer e Michelle Williams in una scena del film
Tutti i soldi del mondo: Christopher Plummer e Michelle Williams in una scena del film
Tutti i soldi del mondo: Charlie Plummer in una scena del film
Tutti i soldi del mondo: Charlie Plummer in una scena del film

Jean Paul Getty, l'individuo più ricco del pianeta, nelle mani di Plummer - e di Scott - diventa dunque un Ebenezer Scrooge cinico e beffardo; la personificazione di un'avidità che si nutre di se stessa, caratterizzata dalla coscienza che il denaro, così come il potere, spalanca un abisso dinnanzi agli esseri umani: l'abisso delle possibilità infinite ed illimitate, un'impressionante vertigine a cui in pochissimi sono in grado di resistere senza sprofondare nel baratro. E Getty, che all'amore per il denaro ha sacrificato perfino gli affetti familiari, non esita a professare tale filosofia all'indirizzo dei propri parenti, nel corso di un lungo flashback ambientato nel 1964: il primogenito John Paul Getty Jr (Andrew Buchan), che si rivolge al padre per avere un lavoro, la nuora Gail Harris (Michelle Williams) e soprattutto il nipotino, John Paul Getty III, che da bambino, al suo primo incontro con il nonno, ha il viso di Charlie Shotwell, mentre da adolescente quello graziosamente efebico di Charlie Plummer, premiato all'ultimo Festival di Venezia per Lean on Pete.

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Il caso Getty: rapimento e riscatto

Tutti i soldi del mondo: Romain Duris in una scena del film
Tutti i soldi del mondo: Romain Duris in una scena del film

Ispirato a un libro di John Pearson, Painfully Rich: The Outrageous Fortunes and Misfortunes of the Heirs of J. Paul Getty, Tutti i soldi del mondo si apre fra le vie di Roma la notte del 10 luglio 1973, quando il sedicenne John Paul Getty III viene rapito da alcuni membri della 'Ndrangheta, intenzionati a chiedere un riscatto stratosferico - diciassette milioni di dollari - per la sua liberazione. Se perciò da un lato il film aderisce al genere del crime drama, mostrando in tal senso più di qualche punto debole (la rappresentazione stereotipata e un po' bislacca della banda artefice del sequestro), il nucleo drammatico dell'opera di Ridley Scott va però ricercato altrove, proprio a partire da quella lunga analessi risalente a nove anni prima: nel conflitto fra le prospettive inconciliabili di Jean Paul Getty, alfiere di un materialismo che attribuisce al denaro una priorità assoluta e ineludibile, e di Gail Harris, la quale tenterà di ottenere dall'ex suocero la somma necessaria a trarre in salvo il giovane Paul.

Tutti i soldi del mondo: Michelle Williams e Mark Wahlberg in un momento del film
Tutti i soldi del mondo: Michelle Williams e Mark Wahlberg in un momento del film

Ed è non a caso la figura di Gail a infondere tensione e pathos al racconto, soprattutto grazie alla solida prova di Michelle Williams: il suo ritratto della donna si fa apprezzare per la dignità silenziosa ma incrollabile con cui fronteggia il multimiliardario e per la ferrea ostinazione nel perseguire ogni strada percorribile pur di riportare il figlio a casa, senza lasciare che l'angoscia prenda il sopravvento sulla lucidità. Al suo fianco Mark Wahlberg, in un ennesimo esempio di typecasting, si cala nei panni di Fletcher Chase, ex agente della CIA specializzato in negoziazioni e incaricato da Getty di recarsi a Roma per indagare sul rapimento del nipote (e sciaguratamente il doppiaggio azzera la pluralità linguistica del film, annullando la compresenza di inglese e italiano).

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La poetica dell'eccesso di un regista-gladiatore

Tutti i soldi del mondo: Michelle Williams in una scena del film
Tutti i soldi del mondo: Michelle Williams in una scena del film

La dimensione più schiettamente thriller del film è dunque ibridata da un sostrato drammatico che, a ben guardare, ne costituisce l'asse portante, nonché la componente di maggior interesse: nella sceneggiatura di David Scarpa non mancano del resto taglienti scambi di battute e qualche notevole punchline, queste ultime affidate perlopiù a Plummer. Ciò nonostante, Tutti i soldi del mondo non è certo una pellicola a cui si possano attribuire particolare raffinatezza o varietà di sfumature. Al contrario, nell'opera di Ridley Scott quasi tutto è - volutamente - caricato, enfatico, portato all'estremo: da un Getty mostruosamente attaccato al proprio patrimonio, come il più bieco degli antieroi dickensiani, alla cupezza della fotografia di Dariusz Wolski; da una granguignolesca sequenza di mutilazione, mostrata in primissimo piano e con dovizia di dettagli, alla "caccia all'uomo" fantasmatica e quasi surreale dell'epilogo, nel suggestivo teatro della cittadina calabrese di Lauria.

Tutti i soldi del mondo: Michelle Williams, Mark Wahlberg e Maurizio Lombardi in una scena del film
Tutti i soldi del mondo: Michelle Williams, Mark Wahlberg e Maurizio Lombardi in una scena del film

Tutti i soldi del mondo, insomma, non sarà da elogiare per profondità o equilibrio, né può ambire a rientrare nel novero dei migliori titoli nella carriera del regista, eppure a suo modo è un film da non sottovalutare. E non soltanto in virtù della capacità di intrattenere lo spettatore per oltre due ore di durata, senza ricorrere se non in minima parte a momenti di autentica azione, ma perché si attesta come un saggio emblematico del cinema di Ridley Scott, della sua concezione stessa della settima arte: un cinema 'muscolare' ma che non rinuncia all'attenzione per i personaggi e i loro drammi interiori, vero motore dell'intreccio; un cinema in cui l'intensità e l'eccesso si rivelano sempre funzionali all'esigenza di fare spettacolo. E sono appunto l'amore per il racconto e il gusto per lo spettacolo ad avere la meglio su difetti, limiti e forzature; e a indurci ad ammirare, una volta di più, un cineasta che a ottant'anni appena compiuti non ha ancora smesso di riversare nel proprio lavoro una stupefacente quantità di passione e di energia.

Movieplayer.it

3.0/5