Tsui Hark presenta a Roma Missing

Dopo la presentazione al Festival di Roma del notevole (e poco capito) Missing, Tsui Hark ha raccontato la genesi del film, insieme alla co-produttrice Shi Nansun.

E' una presenza passata quasi in sordina, quella di Tsui Hark a questa edizione del Festival del Film di Roma: una sottovalutazione che, per un regista di questo calibro, dà una misura abbastanza netta della crisi di identità di questa manifestazione. Presentando il suo ormai penultimo film, Missing, Tsui ha raccontato la genesi di quest'opera complessa e finora poco capita, affiancato dalla co-produttrice Shi Nansun.

Ci può raccontare la genesi di questa storia? Da dove è venuta l'idea iniziale?

Tsui Hark: E' cominciato tutto un giorno, per caso, mentre guardavo un documentario ambientato sott'acqua: improvvisamente ho pensato a quanto mi sarebbe piaciuto fare un film incentrato su una città sottomarina, antichissima. E' un'idea che mi ha subito affascinato.

Nella Bibbia ci si chiede "chi potrà mai scandagliare le profondità dell'oceano?". Nel suo film, oltre all'oceano, viene scandagliato anche e soprattutto l'animo umano.

Tsui Hark: Quando ci si rende conto che 10.000 anni fa è esistita una civiltà come quella di cui si parla nel film, ci si pone domande affascinanti come "chi siamo?", "cosa cerchiamo?" La consapevolezza di quel mondo antichissimo diventa lo spunto per una ricerca interiore, che contrasta con il carattere fortemente competitivo della società di oggi. Il film esprime quindi un bisogno di vita.

Shi, questa di un film ambientato in parte sott'acqua è un'avventura produttiva inusuale per lei, ma anche in generale per il cinema di Hong Kong.

Shi Nansun: Le persone che conoscono Tsui sanno che lui non ha mai un modello prestabilito. Per noi questo film era una sfida dal punto di vista produttivo, specie se si pensa alla sicurezza: girare sott'acqua creava in questo senso grosse preoccupazioni. C'è voluta una preparazione lunga e accurata, ed è stato tutt'altro che facile.

Tsui, qual è stato il suo rapporto con gli attori?

Tsui Hark: La prima domanda che facevo loro è "Vuoi andare sott'acqua? Hai paura?" e in seguito chiedevo loro anche "Hai paura dei fantasmi?", visto che il film è anche una storia di fantasmi. E' chiaro che scendere sott'acqua è stata la prima preoccupazione per gli attori, ma lo è stato anche per me: un sommozzatore addirittura mi aveva messo in allarme, sconsigliandomi di farlo in quel periodo. Ma alla fine lo abbiamo fatto ed è andata bene, ed io sono rimasto sempre vicino al cast.

Quante settimane di lavorazione ha richiesto il film?

Tsui Hark: Tante, anche se non ricordo di preciso quante. Le prime giornate, che prevedevano soprattutto riprese subaquee, sono state molto difficili: ricordo ad esempio che alla fine del primo giorno avevamo poco materiale girato, che alla fine è stato interamente scartato. Solo in seguito siamo riusciti a trovare il metodo giusto per effettuare quel tipo di riprese, che ci ha permesso di lavorare più agevolmente.

Il film è fatto soprattutto di immagini, immagini di grande forza che sembrano superare per importanza la sceneggiatura. Cosa ne pensa?

Tsui Hark: Nei miei film ci sono sempre due dimensioni: la sceneggiatura e il mondo che esiste all'interno del film. In questo film viene rappresentato qualcosa di non del tutto compiuto, un mondo quasi inesplorato, e per questo tanto più affascinante. Un universo pacifico, che infonde serenità, in contrasto con quello caotico e competitivo della società moderna.

Il film può essere considerato un melodramma mascherato da horror, che per certi versi riecheggia certi suoi film del passato (primo fra tutti The Lovers). E' un'interpretazione corretta?

Tsui Hark: E' sempre un tabù fare film che siano ibridi di più generi, ad esempio tra storia d'amore e horror. In questo caso ho voluto provare a fare un horror che avesse molta emotività, passione: alla fine il film è un viaggio, un'odissea dentro il significato della vita.

In effetti il film è soprattutto una storia d'amore, in cui l'acqua è vista come un elemento di pace, all'interno del quale viene persino donato un anello. E' fuori, all'esterno, che stanno invece gli incubi, i mostri.

Tsui Hark: Effettivamente è una storia come non se ne vedono molto spesso al cinema; io comunque ritengo più forte la storia d'amore rispetto all'elemento horror, vorrei che chi ha visto il film uscisse con una sensazione romantica, piuttosto che di paura.

Nei suoi film lei alterna vari generi cinematografici, anche all'interno della stessa pellicola. Cosa può dirci sul suo modo di plasmare i film?

Tsui Hark: La domanda presupporrebbe una risposta complessa che in questa sede non posso dare. Per semplificare, comunque, dico che dentro di me ci sono due identità ibride: quella di pubblico e quella di cineasta. Quando inizio a fare un film, viene fuori innanzitutto la prima, mi pongo dal punto di vista del pubblico: visto che io, come spettatore, amo tutti i generi cinematografici, non mi pongo limitazioni neanche quando i film li faccio. Non c'è genere che rifiuterei di fare per principio.

Cosa può dirci sui suoi prossimi progetti?

Tsui Hark: Attualmente sto preparando un film ambientato nella Cina del VI secolo, incentrato sulla figura di un detective dall'intelligenza straordinaria che indaga su un omicidio compiuto in un tempio. E' un progetto che mi affascina molto, specie perché si tratta della Cina del VI secolo, in un periodo in cui i cinesi avevano un'idea di società molto moderna, cosmopolita. Un'idea in cui anche le donne avevano un ruolo importante: la prima imperatrice della storia è stata infatti cinese.