Recensione La rosa purpurea del Cairo (1985)

Figurativizzato nel personaggio di Cecilia, Woody Allen realizza un omaggio alla filmografia della sua adolescenza generando, allo stesso tempo, una nostalgica e profonda riflessione sul ruolo assolto dalla settima arte, sullo sguardo spettatoriale e sui processi di identificazione attivati dalla narrazione cinematografica.

Tra sogno e realtà

La Rosa purpurea del Cairo è uno dei film che esprime con maggior maestria la concezione di cinema di Woody Allenperché affronta, senza molte intermediazioni ma con tonalità struggenti, il rapporto tra finzione e verità, tra realtà e rappresentazione cinematografica.

La Rosa purpurea del Cairo è il titolo di un film esotico degli anni Trenta, girato in un rilucente bianco e nero e ambientato tra salotti mondani e locali lussuosi, il cui protagonista è un affascinante esploratore, Tom Baxter (Jeff Daniels). È anche il film che Cecilia (Mia Farrow), cameriera ingenua e frustrata, continua a guardare imperterrita con fare incantato e rapito, per fuggire dalle macerie della sua esistenza quotidiana al tempo della Grande Depressione, aggravata da un marito scansafatiche, ubriacone e traditore.
La sbadataggine di Cecilia le fa perdere il posto di lavoro e, per consolarsi, la donna decide di scappare al cinema Gioiello e vedere per l'ennesima volta La Rosa purpurea del Cairo, ma questa volta il suo sguardo di spettatore incontra quello di Tom Baxter, che rompe il sacro confine tra schermo e platea - fondamento ontologico del meccanismo cinematografico - balzando nello spazio fisico e a colori della sala, in cerca della libertà e del vero amore.

Il rapporto privilegiato che s'instaura tra Tom e Cecilia simboleggia il processo di osmosi e di reciproca contaminazione tra vita e cinema: Tom, e per estensione l'immaginazione cinematografica, nutre l'esistenza della donna, così come il suo potere empatico e il suo sforzo cognitivo conferiscono incessantemente un senso alla materia proiettata. Il caos inizia però a dominare l'universo circoscritto del film, i cui personaggi restano nell'impasse non potendo far avanzare il discorso narrativo, e parallelamente l'industria cinematografica (produttori, esercenti, attori, stampa), terrorizzata dall'ipotesi che il fenomeno possa ripetersi ed espandersi a macchia d'olio, distruggendo la macchina dello star system. Chiamato a ricucire lo strappo tra finzione e realtà è Gil Sheperd (sempre Jeff Daniels), l'attore interprete di Tom Baxter che - sotto la minaccia di non lavorare più a Hollywood - ha il compito di riportare il suo personaggio dentro alla pellicola. Cecilia, che stava già riconquistando fiducia in se stessa grazie ai romantici incontri con Tom, trova in Gil una concreta speranza di ribaltare il proprio futuro, scoprendo per la prima volta l'ebbrezza di essere amata e l'entusiasmo per una creatività artistica fino ad ora inespressa (suonare l'ukulele). Nonostante la notte meravigliosa trascorsa con Tom nell'universo fittizio ma incantato de La Rosa purpurea del Cairo, Cecilia lascerà il marito per Gil che, sebbene imperfetto rispetto alla purezza di Tom, le ha chiesto di seguirlo a Hollywood. Il mondo reale assesta però un altro duro colpo alla sognatrice Cecilia: Gil parte senza di lei, torna alla sua carriera dopo aver ottenuto ciò che più gli premeva, il rientro di Tom nei ranghi della normalità scenica.

Il cerchio narrativo si chiude con la medesima situazione iniziale, con Cecilia che si rifugia nelle poltrone del cinema Gioiello, rivolgendo allo schermo il suo sguardo deluso e disperato dalla vita. Saranno ancora le immagini cinematografiche, le immagini di Cappello a cilindrocon Fred Astairee Ginger Rogers, a rincuorarla e a darle la forza per continuare a lottare, ma in misura superiore a prima, perché il cinema non rappresenta più solo una dimensione onirica per lei, ma diventa parte integrante della sua rinnovata personalità e della sua nuova realtà (aspetto sottolineato dal motivo _Cheek to cheek _di Irving Berlin, presente all'inizio sui titoli di testa, che però nel finale appartiene al film che si sta proiettando, ossia a Cappello a cilindro).

Figurativizzato nel personaggio di Cecilia, Woody Allenrealizza un omaggio alla filmografia della sua adolescenza generando, allo stesso tempo, una nostalgica e profonda riflessione sul ruolo assolto dalla settima arte, sullo sguardo spettatoriale e sui processi di identificazione attivati dalla narrazione cinematografica. Un'opera dolce-amara sui pericoli che la soluzione di continuità tra realtà e funzione può scaturire (il dolore di Cecilia abbandonata da Gil, la definitiva perdita d'innocenza dell'attore), ma che non rinuncia a ribadire il potere trascinante, terapeutico e poetico del cinema.