Torino 2010, obiettivo John Boorman

L'autore inglese, che ha ricevuto il Gran Premio Torino, ha parlato del cinema ('I film buoni escono sempre fuori, è un miracolo') e del suo sogno di portare sul grande schermo Le memorie di Adriano; 'Non ci sono i soldi, ma non demordo'.

Billy Redden in una scena di Un tranquillo weekend di paura
Billy Redden in una scena di Un tranquillo weekend di paura

John Boorman è uno splendido settantasettenne. Non lo dimostra solo la resistenza al lungo e complicato viaggio che da Londra l'ha portato al Torino Film Festival per ritirare il Gran Premio Torino, ma soprattutto la lucidità, l'ironia e la grinta emerse dalle dichiarazioni di questo signore gentile; un vero cavaliere arturiano, per citare uno dei suoi capolavori indiscussi, Excalibur. "Per la sequenza del banjo in Un tranquillo week end di paura avrei dato tutti i film che ho fatto", ha raccontato un emozionato Gianni Amelio prima della consegna del riconoscimento, istituito appositamente per celebrare quegli autori che hanno saputo rivoluzionare il linguaggio cinematografico.

Nato a Shepperton, in Inghilterra, nel 1933, Boorman è un regista dalla spiccata personalità, capace di mettersi alla prova su generi diversi (dall'horror al war movie, passando per i drammi storici e il fantasy) senza rinunciare al realismo di cui si è sempre artisticamente cibato (dal 1962 è, infatti, direttore della sezione documentari della BBC).

Boorman e gli attori

foto in bianco e nero di Lee Marvin
foto in bianco e nero di Lee Marvin

La visita nel capoluogo piemontese, dunque, è diventata un momento di riflessione sulla carriera di un autore mai troppo idolatrato, uno dei pochi a saper trarre il meglio dagli attori. Come dimostra la collaborazione con Lee Marvin in Senza un attimo di tregua. "Lee era straordinario - ha raccontato Boorman -. Con lui non discutevo mai dei personaggi, perché si immergeva direttamente nelle azioni e nei gesti. Quando l'ho incontrato, era reduce dal successo di Quella sporca dozzina e si sarebbe ritrovato a girare un film radicale, per nulla rassicurante.
Ai produttori della FOX disse che da contratto avrebbe dovuto avere l'ultima parola sulla sceneggiatura e sulla regia, ma che in quel caso aveva delegato tutte quelle funzioni a me. L'unico difetto è che gli piaceva un sacco bere. Una sera, dopo una cena in cui aveva alzato troppo il gomito, litigammo su chi avrebbe dovuto guidare la sua macchina. Sono riuscito a strappargli le chiavi, ma non ne volle sapere di entrare. Così si appollaiò sul tetto. Quando la polizia mi fermò, l'agente mi chiese se ero cosciente del fatto che ci fosse Lee Marvin sul tetto della vettura
".

Quando Mastroianni si addormentò

UNa scena del film Un tranquillo week-end di paura
UNa scena del film Un tranquillo week-end di paura

Boorman ha avuto modo di lavorare anche con una nostra gloria, Marcello Mastroianni, protagonista di Leone l'ultimo. "Era l'attore più rilassato che abbia mai incontrato in vita mia. Durante le riprese del film dovevamo girare una scena in cui era a letto. Naturalmente si addormentò. Allora lo svegliai e lui si riprese, ma è bastato solo ch mi girassi un secondo per sistemare la macchina da presa che si era di nuovo messo a dormire".

Quanto all'accoppiata Jon Voight-Burt Reynolds, protagonisti di Un tranquillo week end di paura, Boorman non ha avuto dubbi. "Erano esattamente agi antipodi. Voight veniva dall'Actor's Studio ed era metodico. Aveva bisogno di conoscere tutto nel profondo per poter interprare un personaggio. Reynolds, invece, sapeva istintivamente come farcela. Si sono influenzati a vicenda. Certo, va detto che quando li ho buttati nel fiume sulla loro canoa, non dovevano fare altro che girare la scena"

"Mai confondere cinema e teatro"

Non le ha certo mandate a dire il regista inglese, che se l'è presa in particolare con i guru delle sceneggiature. "Detesto quelli che insegnano come si fa uno script - ha sottolineato -, quelli che ti dicono che una sceneggiatura va scritta in tre atti. Confondono il cinema con il teatro. Una buona sceneggiatura si scrive in dieci rulli e bisogna mettere una scena buona in ogni rullo. Così si fa un buon film!". E di buone opere Boorman ne ha viste parecchie negli ultimi tempi. "Non so, mi sembra un miracolo. Alla fine in un modo o nell'altro i film buoni escono sempre fuori. Il problema grosso è che oggi l'originalità viene vissuta come un nemico da combattere. Se il film ha qualcosa di familiare e magari può contare su qualche star, allora bene. Sennò si trovano molte difficoltà".

Il riferimento, neppure tanto velato, era diretto al progetto sulla trasposizione cinematografica del libro di Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano, rimasto in cantiere per diversi anni e ancor lontano dalla concretizzazione. "Non abbiamo i soldi. Ho poco altro da aggiungere. Però non ho ancora accantonato l'idea. Se ne sta lì e ogni tanto rispunta fuori". Infine, Boorman ha lanciato la sua personale dichiarazione d'amore a favore del cinema digitale. "Ho usato la pellicola per 50 anni - ha spiegato - e mi ha fatto penare. Mi ha dato problemi coi graffi, con i laboratori, con i mix. E' tempo di cambiare. Con il digitale si ha un controllo come mai prima e in questo modo i film possono diventare arte pura, un'arte autentica". Autentica come lei, Mr. Boorman.