Torino 2007: il concorso - Seconda parte

Continuiamo ad esaminare i titoli passati in concorso durante la recentissima kermesse piemontese: una selezione ridotta ma davvero di qualità.

È stato sicuramente uno dei migliori (se non il miglior) film in concorso visti a Torino, Lars e una ragazza tutta sua. L'opera prima di Craig Gillespie è un film dove Frank Capra incontra il miglior cinema indie americano, un film che riesce ad alternare e bilanciare con incredibile equilibrio il gelo triste e drammatico della storia di un protagonista segnato in maniera profonda dalla vita e dalla solitudine con il calore umano e rassicurante proveniente dalla reazione di una comunità pronta a sostenere il ragazzo in difficoltà. È commovente l'attaccamento disperato di Lars per la sua love-doll Bianca, così come lo è la reazione di chi gli vuole bene e che per aiutarlo è disposta ad accettare per normale ciò che sarebbe facilmente bollato come un'eccentrica follia. E non si può rimanere insensibili di fronte allo sguardo perso e implorante aiuto di un Ryan Gosling che si conferma l'Attore della sua generazione. Che pur portato all'eccesso, quello messo in atto da Lars nel film è un meccanismo di difesa che è fin troppo comune a tutti noi, quello di aggrapparci a piccole e grandi coperte di Linus per far fronte alle difficoltà della vita.
A supportare Gosling nel film, un cast di gran rilievo ed una sceneggiatura capace di costruire personaggi e situazioni tenendosi ben lontano dalle paludi della banalità e rifuggendo dall'esplicitazione a tutti i costi, lasciando che a parlare siano i gesti, gli sguardi ed i vuoti. Come in una scena di bowling dove gli sguardi di Gosling e della Garner dicono più di pagine e pagine di dialoghi sul loro stato d'animo e sul loro legame.

Parlando di equilibrio, è il caso poi di parlare di The Railroad, firmato dal coreano Park Heung-sik. Caratteristica fondamentale di questo film è infatti l'abbracciare in pieno la sua natura di melò senza però mai eccedere in retorica o in facili autoindulgenze. Anzi, in fase di costruzione Park non rinuncia ad inserire pennellate di umorismo - per quanto composto e mai sopra le righe - mentre nel finale ha persino il coraggio di concedersi, con successo, un non facile colpo di coda nel segno dell'ottimismo. Pulito ed elegante dal punto di vista formale, The Railroad fa percorrere parallele e separate le vicende dei suoi due protagonisti, li fa incontrare con fugace intensità e li libera nuovamente ai loro destini, strutturando così un racconto che esplora i piccoli e i grandi dolori della vita con pudica partecipazione. Di interpretazioni migliori di quella di Kim Kang-Woo a Torino se ne sono viste (vedi il già citato Ryan Gosling), ma nel complesso il premio assegnatogli come miglior attore non è del tutto immeritato.

Non c'è festival degno di tale nome che non annoveri tra i selezionati almeno un titolo di rara bruttezza. A Torino, nonostante la sorprendente qualità media, non si sono permessi di infrangere questa tradizione grazie a Neandertal di Hingo Haeb. Al centro del film, a quanto pare autobiografico (auguri), la tragica dermatite del protagonista Guido che dopo vari tormenti medici decide di fuggire di casa e costruirsi una sua vita. Assunto bizzarro per uno svolgimento retorico e noioso, che mai riesce a generare un minimo di interesse nello spettatore. Non giova poi sottolineare una messa in scena deprimente, al limite del dilettantesco.

Lascia un po' l'amore in bocca, il vincitore Garage onesto ma inconsistente ritratto minimalista di uno scemo del villaggio buono e inoffensivo, diretto da Leonard Abrahamson. Niente è particolarmente fuori posto in questo piccolo dramma consumato in un paese desolato e noioso dell'Irlanda, dove tutti si conoscono e la meschinità è sempre dietro l'angolo, ma si ha la sensazione dell'abuso di uno spunto che alla lunga stanca. Il film è comunque tutto sulle spalle del bravo Pat Shortt, personaggio abbastanza noto della televisione irlandese, che si da con grande generosità a un personaggio di certo non facile.

Giudizio in bilico per l'opera prima della francese Céline Sciamma, Water Lilies, che racconta di tre adolescenti parigine con la passione per la danza acquatica. Una passione che funge solo da motore narrativo e apre la strada all'incontro dei personaggi e alla scoperta dei loro corpi, dei loro istinti e della loro sessualità. Colpisce in positivo una certa acutezza nel cogliere e descrivere le dinamiche adolescenziali, i rapporti di forza e le psicologie delle protagonista, ma il film purtroppo si affossa progressivamente a causa dell'assenza di un punto di vista forte sul narrato. Ma è un peccato perdonabile per un'opera prima.

Davvero di ottima fattura e di grande interesse infine il thriller-non thriller australiano Noise di Matthew Saville capace di navigare con bravura e intelligenza nel genere spingendo il suo cinema in molteplici direzioni, mai banali. Ancora un'opera prima alle prese con il dramma e l'improvviso apparire dell' assurdo nel quotidiano, la paura dell'indifferenza e della solitudine, raccontate attraverso l'ottimo personaggio di Graham (un bravissimo e poco noto Brendan Cowell) poliziotto disincantato e tormentato da uno strano male uditivo. Poco conta in questo contesto la risoluzione del delitto che apre il film e che comunque si dimostra più che funzionale agli scopi di un film dotato di un'impronta forte anche sotto il profilo della messa in scena. Davvero una piacevole sorpresa.

(Si ringrazia Federico Gironi per il contributo su Lars e una ragazza tutta sua e The Railroad)