Recensione Jerichow (2008)

Petzold butta nel calderone sentimenti inespressi, complesse dinamiche matrimoniali, passioni improvvise, segreti inconfessabili, tradimenti e malesseri esistenziali di vario tipo senza preoccuparsi di focalizzare l'attenzione sui singoli elementi o di giustificare adeguatamente il background dei tormentati personaggi.

Torbide passioni in salsa tedesca

La Germania inaugura il concorso della sessantacinquesima edizione della Mostra del cinema di Venezia con Jerichow, ultimo lavoro di Christian Petzold. Jerichow è un piccolo paese sperduto del Nord Est della Germania, ma è anche un luogo dell'anima. Un luogo dove si consuma il triangolo sentimentale tra il disoccupato Thomas, il ricco commerciante turco Ali e la sua bella e insoddisfatta moglie Laura. Il regista Christian Petzold punta in alto, forse troppo, ispirandosi non dichiaratamente al romanzo di James Cain Il postino suona sempre due volte e ai suoi precedenti adattamenti cinematografici, in particolare al capolavoro viscontiano Ossessione. Stavolta però l'esperimento non riesce. L'attualizzazione del dramma del desiderio e della povertà ai tempi del lavoro precario e interinale (il nullatenente Thomas, dopo il decesso della madre, raccoglie cetrioli e sopravvive grazie al sussidio di disoccupazione) cancella con un colpo di spugna le torbide atmosfere del Polesine viscontiano e la debole sceneggiatura si dimostra insufficiente a supportare lo svolgersi degli eventi che si susseguono con snodi macchinosi e decisamente poco credibili. Petzold butta nel calderone sentimenti inespressi, complesse dinamiche matrimoniali, passioni improvvise, segreti inconfessabili, tradimenti, malattie, incapacità di dare una direzione alla propria esistenza e malesseri esistenziali di vario tipo senza preoccuparsi di focalizzare l'attenzione sui singoli elementi o di giustificare adeguatamente il background dei tormentati personaggi. Poco o niente ci viene detto del passato di Thomas, figura centrale della vicenda a cui il regista dedica l'incipit del film mostrandone il recente lutto e introducendo i suoi problemi economici che lo assillano.

A una narrazione che procede a singhiozzo si aggiunge la recitazione granitica di Benno Fürmann, duro dagli occhi di ghiaccio del nuovo cinema tedesco che fornisce qui una delle sue peggiori performance attoriali. La sua monoespressività, che si sposa perfettamente a personaggi come il rude alpinista di Nordwand o l'appassionato criminale di La principessa e il guerriero, in questo caso condiziona pesantemente la pellicola cancellando

completamente il ricordo nostalgico del torrido e sensuale Massimo Girotti e provocando involontaria ilarità nei momenti in cui il film si abbandona alla pruderie. Altrettanto criptica e fintamente distaccata risulta la bella Nina Hoss mentre la performance più convincente e realistica viene fornita dal turco Hilmi Sözer, unica sorpresa del film.

Il regista Petzold, dopo l'Orso d'argento ricevuto nel 2007 per Yella, non riesce a realizzare un lavoro altrettanto solido e convincente lasciandosi prendere la mano e inserendo nella pellicola numerose ingenuità che inficiano il risultato finale dell'opera, non ultima l'ossessione per la rappresentazione della rapacità umana, tema declinato in molteplici forme. La sete di denaro domina a vario titolo le esistenze dei personaggi. A Thomas che deve trovarsi un lavoro per riuscire a ristrutturare la dimora materna si contrappone il self made man Ali, proprietario di 45 chioschi alimentari che segue personalmente la contabilità di tutti i suoi dipendenti per evitare di essere truffato mentre Laura, in un attacco di gelosia del marito, non può fare altro che confessare il suo tradimento, che non è carnale, bensì economico visto che la donna si era accordata con un fornitore per vendere al marito la merce a un prezzo più alto del dovuto e tenersi gli utili. E proprio Laura pronuncia la frase che condensa il senso ultimo del film: 'senza soldi non vi può essere amore'. I sentimenti sono un capriccio da benestanti, verità ribadita in un finale aperto e fintamente liberatorio, ma nella sostanza atroce. Thomas e Laura sono destinati a non potersi amare, nonostante tutto, perché la mancanza di stabilità economica e i debiti che gravano sulle spalle di entrambi vanificando ogni possibilità di felicità. E vanificano anche la possibilità del film di entrare nella rosa dei papabili per il Leone d'oro.

Movieplayer.it

2.0/5