Tony Gatlif presenta Exils

Fresco vincitore del premio per la miglior regia all'ultimo festival di Cannes, Tony Gatlif presenta a Roma il suo film più appassionato, Exils, il viaggio di due figli dell'esilio alla riscoperta delle proprie radici.

Fresco vincitore del premio per la miglior regia all'ultimo festival di Cannes, Tony Gatlif presenta a Roma il suo film più appassionato, Exils, il viaggio di due figli dell'esilio alla riscoperta delle proprie radici.

Il film racconta di due ragazzi francesi, figli di immigrati algerini, che intraprendono un viaggio alla ricerca delle proprie origini. Lei ha impiegato 43 anni per ritornare nella terra della sua infanzia, l'Algeria. I protagonisti del film sono perciò una sorta di suo alter ego?

Tony Gatlif: Ogni volta che faccio un film mi chiedo sempre quale sia la ragione che mi spinge a farlo. La domanda che mi pongo all'inizio è: per quale motivo faccio questo film? La cosa certa è che non lo faccio per avere successo, come molti miei colleghi. E in questo film la risposta viene data subito, all'inizio. I due protagonisti sono lì per raccontare che c'è gente come me, gente in esilio. Il mondo attuale è il mondo dell'esilio, ma anche della commistione di popoli. Il cinema sta cambiando, sta diventando altro, così come sta cambiando tutto il mondo. Noi stessi siamo diversi e perciò anche le storie lo sono. Ci sono sempre più cineasti figli di esiliati che sentono l'esigenza di raccontare questo tipo di storie e che cominceranno a fare film che presentano un contenuto nuovo.

Il suo film è un incontro di culture. Cosa salverebbe della sua cultura nella possibilità di un'integrazione tra i popoli nell'Occidente?

Tony Gatlif: Io appartengo a culture diverse, quella gitana e quella maghrebina. La cultura gitana, che cerco di salvare da 25 anni, non ha mai fatto male a nessuno. Quella maghrebina sì perché fa parte dell'Islam. Attualmente c'è un forte conflitto tra Islam e Stati Uniti, ma è alimentato unicamente dagli estremisti. In Europa la situazione è diversa, ma l'Islam viene comunque messo in discussione. Non è certo colpa dell'Islam o della cultura araba se vengono fatte delle guerre nel loro nome. E' la stupidità delle persone che ci governano che fa sì che l'Islam diventi il pretesto per una guerra, sono gli estremisti a manipolare la povera gente che ingenuamente crede loro. La cultura maghrebina non dovrebbe essere respinta, ma salvata perché forte, secolare, fatta di musica e gioia di vivere.

Il loro è un viaggio contromano, un incontro continuo con persone che vanno nell'altra direzione. L'unica cosa che segue i personaggi è la musica.

Tony Gatlif: Zano è figlio di francesi del Maghreb, gente che la lasciato l'Algeria nel 60. In quell'anno un milione di persone ha lasciato quei paesi. Popolazioni costrette ad abbandonare le proprie terre esistono anche oggi. Pensiamo alla Jugoslavia, alla Cecenia, all'Iraq. Tutta gente che fugge una guerra o una carestia. Oggi tante piccole guerriglie spingono all'esilio. In un film che si chiama Esili non potevo non mostrare questa situazione.
Anche la musica è andata in esilio. Quando si lascia un paese non si porta via nulla a parte la musica. Negli ultimi anni la musica di queste genti costrette all'esilio sta diventando sempre più popolare. Prima non la si sentiva mai, oggi è ovunque. La gente la ascolta e la balla nelle discoteche. E' una musica che è giunta a noi attraverso gli esiliati e si è mescolata con altri ritmi, ma questa è una commistione positiva. All'inizio del film ascoltiamo una musica urbana, techno. La musica segue i due ragazzi durante tutto il viaggio e alla fine capisci da dove viene. La musica techno è binaria, è sintetizzata col pc. La musica che si sente alla fine è ternaria, impossibile da fare al pc. E' la musica delle origini. Zano e Naima quando andranno via avranno capito il paese attraverso l'anima delle cose e non attraverso questioni complicate come la politica. Se si vede dietro le cose si vede altro, come nel caso della musica.

Come mai la scena della trance è così lunga?

Tony Gatlif: La scena della trance è fondamentale. I due giovani fanno un viaggio per ritrovare i ricordi, ma anche per liberarsi dai loro malesseri. Qui l'esorcismo avviene attraverso la trance e la musica, una liberazione autentica, non superficiale come quella che può venire dalla droga. La trance è un fenomeno di alta spiritualità, diffuso in Sud Africa e in Maghreb, che si raggiunge quando il cuore diventa tachicardico, non segue più la musica e il corpo non sente la sofferenza. Volevo che lo spettatore potesse vedere e sentire lo stato della trance e questo richiede molto tempo.

Perché il personaggio femminile, rispetto a quello maschile, è più negativo?

Tony Gatlif: E' stato proprio il personaggio femminile che mi ha fatto venire voglia di fare il film. Questa giovane donna, per poter vivere tranquillamente è fuggita dai propri genitori e da una cultura che non le permetteva di essere libera, di vivere una storia d'amore con un ragazzo e di uscire con lui. Nel tempo ha acquisito una mentalità maschile, mettendo da parte quei tratti femminili che volevano invece enfatizzare i suoi genitori. E' per questo che la vedo in modo negativo: egoista, aggressiva, traditrice. In fondo però in lei c'è molta umanità, come simboleggiano le ferite che ha sulla pelle. Alla fine del film lei scopre la gioia di condividere qualcosa con un'altra persona e sorride, sorride davvero, per la prima volta, e di fronte a questo ragazzo straordinario capisce che è possibile lasciar scivolare via le cose negative del suo passato.

Questo film oltre a raccontare un esilio di popoli costretti ad abbandonare la propria terra, sembra rappresentare anche un esilio da se stessi. E' forse questa la chiave di lettura che può permettere ad un occidentale di sentirsi partecipe e non solo spettatore del suo film?

Tony Gatlif: Sì, però i due personaggi hanno delle radici ben precise e in questo sta la differenza. All'inizio sono esiliati nel loro stesso corpo: lui nudo proteso verso il vuoto, lei in totale decadimento che mangia formaggio sul letto. Dovranno quindi riappropriarsi di se stessi, del loro spirito e perché ciò avvenga è stato necessario raccontare la ricerca delle loro radici. Io credo che sia così dappertutto nel mondo. Oggi ci sono mescolanze di popolazioni in esilio in ogni luogo. Siamo tutti in qualche modo profughi di un paese o di una regione.

Di cosa parlerà il suo prossimo film e dove sarà girato?

Tony Gatlif: Sarà una storia d'amore, un amore vero. Si chiamerà probabilmente Canto d'amore e sarà girato in Transilvania.