Recensione La Polinesia è sotto casa (2010)

Ingabbiato in una narrazione spezzettata e poco omogenea, che risente probabilmente della concezione letteraria divisa in capitoli, il film opta per una 'soluzione' amorosa anzichè incentrarsi sul vero motore della storia e cioè il surf, costretto nel ruolo di comparsa.

Ti sogno California

Come direbbe qualcuno, la vita non è un sogno ma i sogni aiutano a vivere meglio. Ne sa qualcosa Stefano, consulente finanziario per una grande multinazionale tedesca e fidanzato da tempo con la figlia snob e dispotica di un console francese, una donna che non brilla per simpatia e che per hobby crea problemi e si diverte a programmare anche il poco tempo libero che hanno a disposizione. Stufo di una relazione logora e della mancanza di leggerezza in una vita divenuta troppo impegnativa, Stefano ritrova un vecchio amore capace di dargli nuova linfa e la spinta verso un radicale cambiamento. Non parliamo di una donna, almeno non soltanto, ma della sua vecchia ed inscalfibile passione per il surf, molto più di uno sport ma una vera e propria filosofia di vita. Il contatto con le onde gli restituirà la forza di lasciarsi andare e di riscoprire quella sensazione di libertà capace di riconciliarci con il mondo che ci circonda, ma non è tutto, perchè il destino lo riavvicinerà ad un suo vecchio amico surfista e a una sua ex-fidanzata del liceo, una ragazza che non è mai uscita dal suo cuore e che lui ha sempre ricordato come la sua anima gemella.

E' questa la metaforica Polinesia del titolo La Polinesia è sotto casa portata sul grande schermo dall'esordiente regista figlio 'd'arte' Saverio Smeriglio, già autore dell'omonimo romanzo ed ora, grazie anche alle amicizie illustri di papà, riesce a portare nelle sale un film decisamente posticcio e logorroico che sa un po' troppo di inesperienza - scritto, girato e recitato come una soap opera - incapace di coinvolgere lo spettatore. Ingabbiato in una narrazione spezzettata e poco omogenea, che risente probabilmente della concezione letteraria divisa in capitoli, il film opta per una 'soluzione' amorosa anzichè incentrarsi sul vero motore della storia e cioè il surf, costretto nel ruolo di comparsa. Le affascinanti riprese acquatiche realizzate con l'aiuto di un team californiano e gli splendidi scenari naturali della riviera del Conero, luogo magico turisticamente poco valorizzato, fanno quel che possono al cospetto di un pubblico estivo voglioso di 'freschezza', di emozioni e risate.
Il viaggio introspettivo di un trentenne di provincia alla ricerca di una perduta libertà esistenziale tra amori travagliati, situazioni lavorative opprimenti e amici perduti nelle mani dei due neo-registi diventa un carosello un po' noioso di personaggi mai realmente concreti o credibili, alcuni al limite del macchiettistico, e di situazioni un po' surreali confezionato con uno stile che scivola (o cerca di di scivolare senza riuscirci) nel grottesco e con una regia poco convincente anche nei fondamentali. Tutto questo, insieme alla vacua recitazione del cast, non permette al primo film italiano 'incentrato' sul surf di lasciare un segno, seppur leggero, nella cinematografia di genere. Forse un passaggio televisivo sarebbe stato non solo più indicato ma anche assai più fruttuoso per la neonata casa di produzione Aloha Entertainment. Il risultato finale, purtroppo, appare più come uno di quei poster adesivi da parete tanto di moda negli anni '70, un po' sbiadito e realizzato col fotomontaggio, che come una foto ad alta risoluzione scattata per immortalare paesaggi paradisiaci e momenti magici da ricordare per sempre.
La Polinesia e la California, intese come paradisi naturali e oasi in cui rigenerare corpo e anima, saranno pure sotto casa, ma a conti fatti la cosa veramente difficile è arrivarci (anche solo in sogno) con compagnie low-cost che sappiano offrire un buon rapporto qualità-prezzo.

Movieplayer.it

2.0/5