Recensione Out of Time (2003)

Un onesto quanto scontato thriller dalla discreta ambientazione, condito da un inedito tocco umoristico, non sempre, probabilmente, volontario.

Thriller time!

Il comandante della polizia di una piccola cittadina della Florida è un onesto e passionale uomo, rispettato e apprezzato. Ha una bella ex moglie, sua collega, che ama ancora, un amico un po' fuori di testa che fa il medico legale ed una conturbante amante, malata incurabile, che conosce dalle scuole superiori. Improvvisamente tutto il suo mondo crolla, probabilmente perché non conosce veramente la sua amante, e si troverà a doversi sottrarre, in brevissimo tempo, da un vero e proprio incubo.

Difficile formulare un giudizio netto su un film che per quanto sommariamente godibile, fondamentalmente lascia indifferenti. Diretto con competenza e professionalità, ma senza alcun sussulto o momento da ricordare, da Carl Franklin (il promettente regista di Qualcuno sta per morire, ben presto irrigidimentato nelle convenzioni mainstream), Out of Time è un onesto thriller dalla discreta ambientazione, condito da un inedito tocco umoristico, non sempre, probabilmente, volontario. Il limite principale della pellicola, più che la scontatezza del plot (una sorta di Minority Report senza fantascienza e tinto di noir), sta nell'assoluta assenza di momenti suggestivi, in grado di far breccia nell'immaginario degli appassionati del genere.

La sceneggiatura, che per la prima parte del film sembra convincente e si fa apprezzare anche per una certa atipicità nel suggerire gli eventi senza mai cadere nelle trappole del didascalismo, ben presto diventa il limite maggiore del film, affossata da cadute di tono al limite del ridicolo. Motivo di questo crollo sono i continui capovolgimenti e gli inevitabili colpi di scena imposti dal plot che minano la credibilità della scrittura del film, in affanno, nella ricerca di verosimili giustificazioni al farraginoso susseguirsi degli eventi, fino allo scontato quanto imbarazzante finale (si noti che il finale sta sempre più diventando un vero e proprio problema per questo genere di titoli).

A far le spese di tutto questo è anche Denzel Washington, solitamente a suo agio anche in film molto deboli in virtù della sua straordinaria presenza scenica. Questa volta, invece, l' eccellente interprete di Philadelphia, Malcolm X, He got game e Hurricane - Il grido dell'innocenza, sembra spesso un pesce fuor d'acqua in un ruolo poco credibile che non sente suo e che gli impedisce di mostrare le sue affascinanti sfaccettature negative (come fu l'ottimo Training Day, raro esempio di come si possa sopperire ad un plot poco originale con una rigorosa messa in scena e con delle ottime interpretazioni).
Privi di carisma i ruoli di supporto dall'anonima dark lady Sanaa Lathan, che spicca solo per la prorompente carica erotica, della ex moglie Eva Mendes e del cattivo di turno Dean Cain. Più divertente, anche se esageratamente istrionico, il ruolo dello scanzonato medico legale interpretato da John Billingsley.