Thomas Trabacchi: da Barney... a Boris!

Il set de 'La versione di Barney' e il mondo della televisione, le prime esperienze nel cinema, e i progetti futuri, tra cui un ruolo in 'Boris - il film' e nel prossimo film della Comencini. La nostra intervista a Thomas Trabacchi.

In questi giorni Thomas Trabacchi è nelle sale con un ruolo ne La versione di Barney, e con lui abbiamo voluto parlare del lavoro sul set del film di Richard J. Lewis, ma anche di come si lavora sui set italiani - sia cinematografici che televisivi - dei suoi prossimi progetti (l'attesissimo film di Boris, un biopic dedicato a Dorando Pietri e l'ultimo film di Cristina Comencini). E di molte altre cose ancora.

Attualmente sei in sala accanto a Dustin Hoffman e Paul Giamatti ne La versione di Barney. Interpreti il ruolo di Leo, un amico italiano del protagonista. Come sei stato scelto per questo ruolo, e soprattutto in che modo ti sei preparato per interpretarlo?
La scelta è avvenuta tramite audizione. La trasposizione da Parigi nel libro a Roma nel film ha fatto sì che facessero un casting in Italia. La preparazione è stata fatta in modo direi frettoloso e per via telefonica con il regista. Fortunatamente avevo letto il libro un anno prima, quindi avevo già degli elementi di cui ho potuto usufruire dopo essermi confrontato con Richard. Più che un lavoro di immedesimazione era necessaria un'adesione naturale al progetto. Il modo in cui avevo istintivamente risolto il provino su parte andava bene e non è stato necessario cercare altre strade, o almeno non mi è stato richiesto, né io ne ho sentito la necessità anche perché non c'è stato molto tempo a disposizione

Domanda scontata, ma inevitabile: come hai affrontato il lavoro in un contesto così diverso dal solito? Una produzione americana, accanto a star internazionali... Nessuna preoccupazione o tensione?
Una leggera tensione prima di incontrare le persone con cui lavorerai c'è sempre. Non nello specifico e non perché fossero americani. Tra l'altro la presenza di Domenico Procacci come esecutivo ha aumentato una sensazione di agio che devo anche all'accoglienza calorosa che ho ricevuto. Forse più che preoccupato ero elettrizzato e contento di far parte del progetto

Con chi hai lavorato meglio sul set di Barney?

Ho un particolare affetto per Paul Giamatti, Paul è una persona generosa, è stato facile lavorare con lui. In generale ho stretto rapporti piacevoli con tutta la troupe. Anche Robert Lantos, il produttore, è stato particolarmente affettuoso con me. L'ultimo giorno, dopo essermi struccato e cambiato, pronto per tornare in albergo e poi in Italia, ho visto una figura lontana che attraversava di corsa la strada e veniva verso di me. Era Robert che mi ha abbracciato, si è scusato di non essere stato presente durante il mio ultimo ciak e mi ha ringraziato di aver fatto tutti quei chilometri (eravamo a Montreal) per girare il film... beh, sinceramente l'ho trovato splendido!

Cosa ti è rimasto di questa partecipazione?
I rapporti umani che sono intercorsi durante il lavoro. In generale il senso dell'esperienza, o meglio, di tutte le esperienze, sta nelle persone che incontri. Questa è la vera ricchezza che abbiamo a disposizione. In più, un senso di orgoglio di far parte di un film tratto da un libro che ho molto amato. Questo sentimento si è rafforzato dopo aver visto il film a Venezia.

Quando un set americano approda in Italia, più di un attore italiano si aggrega al cast, per ruoli secondari. In queste circostanze, come interagiscono gli attori italiani, tra di loro? C'è complicità, o rivalità?
Non so rispondere. Nel mio caso ero l'unico attore italiano quindi avrei potuto sviluppare complicità, o rivalità solo con me stesso. Nel tempo ho imparato a non "farmi fare le scarpe"! in generale rivalità o complicità tra colleghi possono svilupparsi a prescindere dal progetto. Ho un approccio agonistico al lavoro e di solito una sana rivalità è sorella di una complicità profonda. Se tutti cercano di eccellere nel rispetto dell'altro si lavora meglio e con più profitto. Si chiama collaborazione. Ma le empatie non dipendono solo dall'atteggiamento di un singolo. C'è un gioco alchemico che sta sopra di noi. Io mi sento fortunato perché in tanti anni di lavoro e diverse esperienze mi è riuscito facile andare d'accordo con i colleghi

Negli ultimi mesi l'Italia ha prestato più di una volta i suoi scenari al cinema internazionale. Penso a The American, o a Mangia, prega, ama, con Julia Roberts. Come attore pensi che questa sia un'occasione imperdibile, per il nostro cinema, o di una fase di passaggio non così importante?

Il cinema americano rappresenta un occasione di lavoro imperdibile se si vuole ampliare la propria conoscenza professionale. Ha mezzi tali da poterti mettere nelle condizioni ideali per far bene. È il risvolto positivo di un egemonia non del tutto positiva per il cinema italiano. Almeno ci restituiscono qualcosa! Non so dire se sia una fase di passaggio o meno. Né quanto sia importante come fenomeno. Bisogna saper distinguere. Noi siamo professionisti e ognuno di noi cerca qualcosa di specifico, che io sappia o meno. Io spero di poter lavorare in futuro in produzione italiane. Mi sentirei più felice di viaggiare per il mondo esportando parte della mia cultura, più che prestare quest'ultima a progetti stranieri. Ma se capita, come è capitato a me, è sicuramente un occasione di arricchimento. Poi se devo dirla tutta per me imperdibile era la finale di coppa dei campioni tra Inter e Bayern a Madrid, e infatti non l'ho persa in nessun senso!
Per tornare a essere seri e parlare del mio lavoro, ci tengo a precisare che nel mio caso la differenza sostanziale tra qualcosa di imperdibile o no sta nella qualità della storia e del personaggio che mi viene offerto. Sempre considerandola relativa ai miei gusti e necessità del momento

Hai lavorato diverse volte per il piccolo schermo, sia in fiction che serie come Medicina Generale e Distretto di Polizia, ma hai anche un ruolo in Boris - il film, che è una critica spietata al mondo della televisione nostrana. Quanto c'è di vero, secondo te, nella satira della serie? Tu che i set televisivi li conosci bene, fino a che punto prendono spunto dalla realtà, gli autori di Boris?

In verità la satira di Boris in questo caso prende di mira anche la seriosità di un certo modo di fare o stare nel cinema, non solo la televisione. Parlo del film, non della serie. È vero che esiste un'ingerenza non troppo competente nelle fiction che non hanno in nessun modo a che vedere con la qualità. La mancanza di mezzi economici e i tempi ridotti fanno il resto. Insomma, qualcosa di vero c'è. Ma io noto anche un affetto nei confronti dei personaggi di cui si prendono gioco. È questo un elemento di profondità che riconosco a Mattia Torre, Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico. È qualcosa per cui attraverso la risata riusciamo sia a esorcizzare che ad accettare i nostri difetti. In un prodotto come Boris l'errore più grossolano che possiamo fare è sentirci superiori, come se quello di cui si ride non facesse parte di noi. Non è così. Chiunque, anche il più serio e talentuoso operatore ha la "possibilità" di diventare un cialtrone di prima categoria! Non che si debba perseguire questa possibilità, ma certi malcostumi che ci sembrano così lontani da noi, e vicini al prossimo sono il più delle volte farina del nostro sacco. In ogni caso parliamo di qualcosa che possiamo riconoscere in noi, che risuona in noi. È più un problema collettivo e culturale. Ridere di noi è il primo passo per crescere. I bambini lo insegnano bene. Gli ideatori di Boris sono grandi perché in fondo un po' bambini! Io ho due figli e vi posso assicurare che essere bimbi è una faccenda piuttosto seria così come molte faccende serie degli adulti sono piene di infantilismi. È un mondo buffo non c'è che dire!

Che personaggio interpreterai nel film?
In Boris interpreto lo scenografo pluripremiato e spocchioso della troupe nell'esordio cinematografico di Renè Ferretti.

A proposito di cinema, so che farai parte anche del cast di Quando la notte, di Cristina Comencini. Che ruolo ti è stato affidato, in questo caso?
Nel film di Cristina interpreto Albert, fratello maggiore di Filippo Timi

Anche questo film, come La versione di Barney ha origine letteraria. Secondo te è più facile sviluppare un ruolo avendo una base così "dettagliata", come può essere certamente un romanzo, o invece complica le cose?
Più informazioni si hanno su un personaggio meglio è. In assoluto non può mai essere una difficoltà. Se anche la scelta fosse tradire il romanzo, o prendere altre direzioni interpretative, si parte da una base solida già esistente e questo non può essere altro che un privilegio.

Se avessi ancora la possibilità di recitare in un altro adattamento letterario, quale ti piacerebbe interpretare? C'è un personaggio "di carta" che non è mai approdato sul grande schermo, che senti particolarmente affine alla tua personalità o alle tue capacità interpretative?
Ce ne sono vari a cui mi piacerebbe dare corpo e anima. Ma non credo che non siano già stati rappresentati. Raskolnikov di Delitto e Castigo, per esempio, o il protagonista del libro di Francesco Piccolo La separazione del maschio che presto sarà un film di Cattleya, ma forse su tutti Ferdinand Bardamu, di Viaggio al termine della notte di Céline

Tornando alla tv, so che farai parte del cast del biopic Il sogno del maratoneta, che sarà dedicato a Dorando Pietri. Un dramma sportivo quindi, nel quale interpreti il fratello del protagonista. Vuoi parlarci anche di questo ruolo?
Il ruolo di Ulpiano Pietri mi ha dato grandissima soddisfazione. È un personaggio che ho amato per una serie di motivi, tra cui la caratterizzazione necessaria al ruolo. Un impulsivo di cuore. Innamorato del fratello. Generoso e sfortunato, ma sempre diritto, dignitoso e a suo modo forte nella sventura

Uno dei primi ruoli che hai interpretato per il cinema è stato quello di un omosessuale sieropositivo in Giorni. A mio giudizio il film aveva non pochi difetti di regia, tu però hai scelto un ruolo difficile, agli inizi della tua carriera. Nessuna esitazione, allora? Cosa ricordi di quell'esperienza?

Se è vero che il film di Laura Muscardin ha dei difetti è altrettanto vero che mantiene una dignità sia per il tema trattato che considerandolo per quello che è: un esordio cinematografico. Non ricordo dubbi o ripensamenti. Ad essere sincero è un film che produsse all'epoca qualche conflitto con me stesso. Non ero entusiasta della mia prova. Ma è molto tempo che non lo vedo. Chissà che effetto mi farebbe oggi. Mi piacerebbe rifarlo con la consapevolezza e il coraggio che il tempo e l'esperienza regala a ciascuno di noi nell'esercizio del proprio lavoro. Ad ogni modo ci sono affezionato, e l'opera selettiva naturale che si esprime attraverso la memoria fa in modo che serbi un ottimo ricordo di quella esperienza e dei buoni rapporti con le persone che hanno lavorato con me, compresa Laura con la quale durante la lavorazione ebbi più di una discussione. Era il nostro primo film, e forse un eccesso di tensione non ci ha aiutato. Si è poi dimostrato essere un ruolo non adatto a farmi emergere nel panorama cinematografico, ma non me ne voglio per questo. Anzi. È stato semplicemente un passaggio necessario della mia storia.

Guardando in avanti invece, cosa immagini? Cosa ti auguri possa esserci nel tuo futuro di attore?
Mi auguro continuità di lavoro con sempre maggiori possibilità di scelta. E un nuovo rinascimento del nostro cinema. Una maggiore esportabilità del nostro talento e della nostra meravigliosa e immensa cultura. Spero di vedere presto il cinema italiano riemergere da una difficoltà di cui è responsabile solo in parte. Me lo auguro e lo auguro a voi, che di cinema vi occupate.