The Outsider: Jared Leto diviene un membro della yakuza in un Giappone imperscrutabile

Jared Leto si muove con crescente sicurezza in un mondo che allo spettatore rimane di fatto estraneo.

Ha suscitato un vespaio di polemiche spingendo una fetta di utenti a tacciare Netflix di razzismo e whitewashing, ponendo cioè al centro della storia un occidentale e sottraendo così a un interprete asiatico un ruolo da protagonista. Di fatto, però, The Outsider è cucito addosso a Jared Leto. Dopo l'uscita di scena di Tom Hardy, inizialmente coinvolto nel progetto, il ruolo del soldato americano inglobato nella yakuza e costretto a rispettarne il rigido codice d'onore rappresenta l'ennesima prova d'attore da cui Leto esce ancora una volta con dignità anche se il ruolo del soldato Nick Lowell è assai meno sfumato rispetto ai cavalli di battaglia del divo.

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The Outsider: Jared Leto in una scena del film
The Outsider: Jared Leto in una scena del film

Netflix non sembra ancora in grado di produrre film originali in grado di competere al 100% con le produzioni cinematografiche, ma la piattaforma streaming sembra alzare il tiro scegliendo soggetti fuori del comune. Stavolta la compagnia aderisce a un genere ben preciso, lo yakuza movie, affrontato da una prospettiva occidentale. La scelta di Jared Leto è funzionale per analizzare dall'esterno il fenomeno della yakuza, collocandolo temporalmente in un momento storico preciso, il Giappone post-bellico degli anni '50. Nello script di The Outsider affiorano riferimenti storico-politici, dal richiamo alla bomba atomica alle strategie militari americane fino alla rete di accordi commerciali stipulati tra clan della yakuza e rapaci imprenditori americani. Non tutti i rimandi sono di facile comprensione visto che il film preferisce concentrarsi sul fascino del genere piuttosto che soffermarsi sulla dimensione storica, ma il quadro che ne emerge è quello di un mondo chiuso e tradizionalista aggredito da un progresso non per forza positivo.

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Uno sguardo antropologico, ma superficiale

The Outsider: Jared Leto in una scena
The Outsider: Jared Leto in una scena

Quanto è aderente l'immagine del Giappone fornita da The Outsider rispetto alla realtà dell'epoca? Difficile stabilirlo per chi non è un esperto di storia orientale, ma il ritratto del paese offerto dal film contiene elementi di ambiguità. Dopo l'incipit ambientato in prigione, l'uscita di Leto dal carcere in tshirt bianca, abbigliato come un novello Marlon Brando solo più alto, allampanato e bianchissimo stride col contesto. Outsider di nome e di fatto, il film sembra più interessato a fornire uno sguardo antropologico sulla yakuza e sul suo funzionamento che scavare a fondo nella psiche dei personaggi che ne fanno parte. Così se alcune sequenze corali ricordano alla lontana certe pellicole di Takeshi Kitano, i criminali di The Outsider mancano completamente di quell'afflato poetico e tragico al tempo stesso.

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The Outsider: una scena corale del film con Jared Leto
The Outsider: una scena corale del film con Jared Leto

Ammaliato dal fascino del male e incuriosito dai riti della cultura giapponese, il regista Martin Zandvliet trascura l'approfondimento psicologico dei personaggi. Di conseguenza tutti gli interpreti orientali sembrano condividere tratti comuni: il rigore, la spietatezza, l'incomunicabilità, il cieco rispetto della tradizione, la tendenza a parlare il meno possibile. I membri della yakuza sono figure monolitiche, quasi stereotipate, che rispondono a un canone ben preciso. In mezzo a loro si erge Nick, il personaggio di Jared Leto. Il gaijin, lo straniero umiliato che scala la vetta del potere arrivando a conquistare la fiducia del capo della gang a cui appartiene. In una delle ultime sequenze lo vediamo addirittura ottenere il rispetto di una gang rivale dopo aver compiuto un atto di violenza contro uno dei suoi membri e uscirne incolume.

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Il fascino oscuro della violenza

The Outsider: una bella immagine di Shioli Kutsuna
The Outsider: una bella immagine di Shioli Kutsuna

Nella visione occidentalizzata di Martin Zandvliet, la Osaka post-bellica viene fotografata con toni cupi, una città bagnata dalla pioggia, brulicante di vita, presa d'assalto dalle mire di occidentali spregiudicati. In questo scontro di culture il regista si sofferma con sguardo incuriosito sul rigido codice d'onore della yakuza, regalando sequenze intrise di violenza grafica. Difficile non distogliere lo sguardo durante l'automutilazione a cui sono costretti i gangster che hanno mancato di rispetto all'autorità del capo. Tradizioni come l'uso della katana o i tatuaggi rituali vengono mostrate con fascinazione in sequenze d'antologia, anche se il regista sembra più interessato a descrivere dall'esterno un fenomeno che lo incuriosisce piuttosto che far luce sulle motivazioni intrinseche.

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The Outsider: Jared Leto minacciato da un gangster
The Outsider: Jared Leto minacciato da un gangster

In questa elegante confezione, supportata da un montaggio ad hoc, la fotografia efficacissima a tratti ricorda i chiaroscuri allucinati e le luci rosse di Solo Dio perdona senza però condividere lo sguardo morboso e intimo di Nicolas Winding Refn. La sensazione che si prova durante la visione di The Outsider è di distaccco. Jared Leto si muove con crescente sicurezza in un mondo che allo spettatore rimane di fatto estraneo. Un breve squarcio in questa impenetrabilità, un possibile punto di contatto è rappresentato dalla comparsa di Emile Hirsch nei panni di un ciarliero commilitone che riconosce Nick Lowell nei vicoli di Osaka e minaccia di segnalare la sua presenza ai superiori, ma la sequenza è quasi un cameo. La recitazione distante di Jared Leto impedisce l'immedesimazione dello spettatore, così per gran parte del film ci troviamo a osservare dall'esterno questo universo tanto affascinante quanto lontano. Il regista e lo sceneggiatore Andrew Baldwin tentano di risolvere il problema affastellano sequenze di riti noti in occidente, dal sumo al teatro kabuki, dai tatuaggi rituali alla cerimonia del te, ma il risultato è artificioso. Alla fine The Outsider risulta un esercizio di stile molto più apprezzabile sul piano formale che su quello contenutistico. Una festa per gli occhi che sul Giappone non ci dice più di quanto già sapevamo.

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Movieplayer.it

2.5/5