The Other Side of Hope: il mondo stralunato di Aki Kaurismäki si tinge di attualità

Il regista finlandese torna a girare in patria dopo la parentesi francese di Le Havre, unendo meccanismi conosciuti ad un occhio più attento alla nostra realtà. Presentato in concorso alla 67° Berlinale.

Fuggito dalla natia Siria, il giovane Khaled si ritrova a Helsinki con il doppio obiettivo di ottenere l'asilo politico e scoprire dove si trova la sorella Miriam, di cui ha perso le tracce durante la trasferta. La sua storia si intreccerà con quella del più anziano Wikström, che dopo aver abbandonato lavoro e moglie ha deciso di reinventarsi acquistando un ristorante le cui fortune necessitano di una svolta al più presto...

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Da un porto all'altro

Avevamo lasciato Aki Kaurismäki e il suo cinema amaramente fiabesco in territorio francese, dove il cineasta finlandese ha girato Miracolo a Le Havre. A sei anni di distanza dal suo ultimo lungometraggio il creatore dei Leningrad Cowboys è tornato in patria, ma la dimensione portuale rimane, sin dalle primissime inquadrature in cui il giovane protagonista rinasce dalle "ceneri" (in realtà un mucchio di carbone) a bordo della nave Eira (un nome che i fan del regista ricorderanno come meta prediletta e sogno di una vita agiata in Calamari Union). Continua il discorso sull'immigrazione già affrontato nell'excursus francofono, ma con una maggiore attenzione a ciò che accade nel mondo reale: Khaled proviene infatti dalla Siria, la cui situazione difficilissima continua a generare dibattiti in tutta la società occidentale ed è una fonte propizia per una riflessione di tipo sociale che si possa fondere con lo sguardo poeticamente stralunato di Kaurismäki, fatto di colori pastello creati dal direttore della fotografia Timo Salminen, consumi abbondanti di alcool e sigarette e varie gag basate sull'understatement (in questa sede l'esempio migliore è forse la dissoluzione del matrimonio veicolata attraverso una serie di semplici gesti, senza l'uso delle parole).

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The Other Side of Hope: Aki Kaurismaki a Berlino
The Other Side of Hope: Aki Kaurismaki a Berlino

The Other Side of Hope (Toivon tuolla puolen) è un racconto bipartito, con i due segmenti che inevitabilmente finiscono per incontrarsi/scontrarsi: da un lato, le vicissitudini di Khaled, dolorose ma comunque intrise di quella speranza che dà il titolo al diciassettesimo film di Kaurismäki e contribuisce in maniera fondamentale alla vena malinconica che attraversa l'ennesima fiaba moderna del cineasta finnico; dall'altro c'è il mondo tipico di Aki, popolato da volti, nomi e situazioni ricorrenti, in primis il grande ritorno di Sakari Kuosmanen, assente dal cinema di Kaurismäki dai tempi de L'uomo senza passato, e l'immancabile presenza della musa Kati Outinen (il cui desiderio di fuggire in Messico si riallaccia al finale di Ariel).

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C'è Koistinen, che da protagonista de Le luci della sera (interpretato da Janne Hyytiäinen, qui presente nel ruolo di un cuoco) è diventato il nome della nuova compagna a quattro zampe dei protagonisti, erede dell'amatissima Laika; c'è Melartin, che era il nome del personaggio di Kuosmanen in Ombre nel paradiso e Nuvole in viaggio; e da quest'ultimo film viene recuperato il centro nevralgico del ristorante, adattato alle esigenze moderne - vedi la gag del sushi - ma comunque ancorato in un'immutabile fissità temporale, come il cinema di Kaurismäki in generale e soprattutto la sua visione del mezzo filmico (in occasione della prima internazionale al Festival di Berlino solo The Other Side of Hope, tra i film selezionati in concorso, ha avuto l'onore di essere proiettato in pellicola anziché in digitale). Un'entità volutamente anacronistica, senza tempo (come le fiabe), ma anche riconoscibilmente contemporanea (i titoli di coda segnalano che il film fa parte dei festeggiamenti del centenario dell'indipendenza della Finlandia).

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Agli amici assenti

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Qualcuno potrà dire - e non del tutto a torto - che The Other Side of Hope è pur sempre il "solito" Kaurismäki, tornato alle vecchie abitudini dopo la breve deviazione geografica, linguistica e in parte contenutistica (l'happy end vero, senza retrogusti amari) di Miracolo a Le Havre. Una scelta che in realtà è ben motivata, come si può evincere dalla scritta con cui si aprono i credits finali: "Alla memoria di Peter von Bagh". Una dedica dal peso enorme, dato che von Bagh, scomparso nell'autunno del 2014, non solo è stato un importantissimo uomo di cinema (critico, storico, saggista, regista, direttore della Cineteca di Helsinki, co-fondatore del Midnight Sun Film Festival e, dal 2001 fino alla morte, direttore artistico del Cinema Ritrovato a Bologna), ma un grande amico e sodale di Kaurismäki, che deve gran parte della propria cinefilia alle rassegne e proiezioni organizzate da von Bagh negli anni Sessanta e Settanta e lo ha diretto in un bellissimo cameo al termine di Nuvole in viaggio, guarda caso proprio in un ristorante.

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Alla luce di quella scritta nei titoli di coda, risulta evidente che per il regista fosse doveroso omaggiare Petteri - come lo chiamavano gli amici - con un film che egli avrebbe senz'altro apprezzato: malinconico, impegnato, divertente, eticamente incontestabile, molto finlandese. Un film dove le preoccupazioni di oggi, perfettamente riconoscibili ed aggiornate (con tanto di macchinario dall'aspetto vagamente fantascientifico per stampare documenti falsi), restituiscono un ritratto di una nazione che è al contempo la vera Finlandia e quella raccontata da Kaurismäki. Un mondo ibrido, dal quale si esce col sorriso sulle labbra e al quale si torna sempre con piacere. Un mondo che, al termine di 98 minuti di proiezione, ci rivitalizza e ci ridà speranza e fiducia. Fiducia nel genere umano, e fiducia nella magia del cinema, rigorosamente in 35mm.

Movieplayer.it

4.5/5