Recensione Never Back Down - Mai arrendersi (2008)

Quello che succede se Karate Kid si trasferisce nella luccicante e modaiola Florida e se, al posto delle discipline orientali, troviamo le ben più spettacolari ma vacue Arti Marziali Miste. Perfetto per la Mtv Generation.

The MMA Kid

Tra gli anni Sessanta e Settanta Bruce Lee mette a punto una nuova arte marziale, che diverrà di lì a poco famosissima: il Jeet Kune Do. Cosa ha di particolare questa disciplina? Semplice, è la prima arte marziale "sincretica", che integra e armonizza principi e movimenti provenienti da fonti diverse, sia occidentali che orientali, tra cui kung fu, karate, tae kwon do, boxe e scherma. In questo senso il Jeet Kune Do (che proprio per la sua natura "spuria" venne a lungo osteggiato dai maestri orientali) può essere considerato l'antenato diretto delle cosiddette Arti Marziali Miste, indicate più spesso con la sigla MMA (acronimo inglese di Mixed Martial Arts). Questa nuova tecnica di combattimento - che mescola senza soluzione di continuità discipline come ju jitsu, wrestling, muay thai, karate, sambo - sta spopolando negli ultimi anni (in particolar modo negli Stati Uniti) grazie alla sua forte carica spettacolare e violenta. Il cinema da sempre interessato alla rappresentazione dell'azione e della lotta - non poteva lasciarsi scappare questa nuova opportunità e questo fenomeno di moda: nasce così Never Back Down, il primo film interamente dedicato al MMA.

L'opera del giovane regista Jeff Wadlow ricalca, anche troppo pedissequamente, l'impostazione di un classico come Karate Kid - Per vincere domani, divenuto ormai imprescindibile topos cinematografico di questo genere. La trama è così fedele al modello originale da costituire un vero e proprio remake non dichiarato, in cui il MMA si sostituisce al karate e lo stile si aggiorna ai gusti delle nuove generazioni (non si fa altro che parlare di You Tube...). Tutto come da copione, quindi. A partire dal giovane protagonista Jake Tyler (il cui interprete, Sean Faris, presenta tra l'altro fattezze simili a quelle del glorioso Ralph Macchio), costretto a fare i conti con la morte del padre, di cui si sente responsabile. Trasferitosi in Florida con la famiglia, Jake dovrà fare i conti con l'egocentrico e prepotente Ryan (Cam Gigandet), un fanatico delle arti marziali (anche lui alle prese con un conflitto paterno irrisolto). Naturalmente c'è di mezzo anche una dolce fanciulla (la biondona Amber Heard) contesa tra i due ragazzi, e un torneo (pericoloso e clandestino alla Fight Club) in cui misurare il proprio valore. Tutto questo vi ricorda qualcosa?

Non manca naturalmente neanche la figura del maestro, qui impersonata dal carismatico Djimon Hounsou, attore candidato all'Oscar per In America e Blood Diamond - Diamanti di sangue e praticante di arti marziali. Il suo personaggio, Jean Roqua, in realtà non ha niente a che vedere con le bizzarrie filosofeggianti del compianto maestro Miyagi (anche se non disegna nemmeno lui modalità di allenamento inconsuete, come il "lancio del mattone"), ma anzi è molto pragmatico e prosaico. In ogni caso il suo ruolo non cambia: è un sostituto della figura paterna che traghetta Jake nell'età adulta, insegnandogli il valore della responsabilità e dell'autocontrollo. Never Back Down è quindi l'ennesimo racconto di formazione incentrato sul nucleo tematico portante di tutta la cultura americana: la famiglia, e in modo particolare la figura paterna, la cui mancanza è all'origine di tutti i conflitti dei personaggi. La narrazione procede come da prammatica, secondo le linee guida tipiche di questo filone action: il primo incontro (di solito traumatico) con le arti marziali, l'apprendistato, la sfida contro l'acerrimo nemico e la vittoria finale. Purtroppo la sceneggiatura di Chris Hauty non presenta elementi innovatori in grado di diversificare il modello di partenza, ma anzi si adagia su stereotipi e cliché. Dal canto suo, nemmeno la regia riesce a imprimere uno scossone a un soggetto ormai stantio e abusato, e preferisce ripiegare in soluzioni molto anni Ottanta (come le insistite sequenze di montaggio con sottofondo musicale).

Quel che è peggio è che Jeff Wadlow non riesce nemmeno a riprendere in maniera adeguata i combattimenti di MMA. Lo stile "videoclipparo" (pieno di zoom incontrollati e movimenti di macchina repentini) non segue, infatti, i movimenti marziali, che anzi molto spesso vengono interrotti sul più bello. L'azione finisce così per risultare confusa, mentre le trovate stilistiche aggiuntive, come il ralenty o l'effetto "a raggi x" (che mostra l'impatto dei colpi sulle ossa), sconfinano nel kitch e non migliorano la resa degli scontri. Probabilmente si tratta di concessioni per adeguare la messa in scena ai gusti della Mtv Generation. Nella medesima direzione va anche il contributo musicale, che annovera brani come Teenagers dei My Chemical Romance o _ Stronger _ di Kanye West e Daft Punk.
Quanto poi al messaggio di fondo, l'occidentale e spettacolare MMA non ha nulla a che vedere con il valore filosofico del Jeet Kune Do. Qui si tratta solamente di sopraffare l'avversario, distruggendolo oppure costringendolo a un gesto di sottomissione. Nonostante uno degli stuntmen (Jonathan Eusebio) abbia studiato all'Accademia di Dan Inosanto, uno dei più valenti discepoli di Bruce Lee, in questo film l'insegnamento del Piccolo drago è molto lontano. Ma si finisce con rimpiangere anche il buon vecchio "Dai la cera, togli la cera" del mitico Miyagi-san...