The Birth of a Nation: l’urlo e il furore contro lo schiavismo

Dopo il trionfo al Sundance e la contrastata ricezione in patria, al Festival di Roma arriva lo stupefacente esordio alla regia dell'attore Nate Parker: la vera storia della rivolta guidata dallo schiavo nero Nat Turner nella Virginia del 1831, ricostruita in un film di incredibile potenza narrativa e visiva.

The Birth of a Nation: Nate Parker in un momento del film
The Birth of a Nation: Nate Parker in un momento del film

A volte, il carattere provocatorio di un'opera d'arte può essere manifesto fin dal titolo; e la provocazione non avrebbe potuto essere più evidente nel caso del sensazionale debutto registico dell'attore Nate Parker, The Birth of a Nation. Il riferimento è rivolto ovviamente a una pietra miliare del cinema americano delle origini, La nascita di una nazione, kolossal innovativo ed esplicitamente razzista diretto nel 1915 da D.W. Griffith: un dramma familiare sullo sfondo della Guerra Civile volto a celebrare l'operato del Ku Klux Klan.

The Birth of a Nation: Nate Parker in una scena del film
The Birth of a Nation: Nate Parker in una scena del film

L'esordio di Nate Parker, che arriva al cinema a poco più di un secolo di distanza dal film omonimo, magari non riuscirà ad obliterare la pellicola di Griffith, ma ne rovescia diametralmente la prospettiva e gli intenti: e in un'America ancora oggi percorsa da tensioni feroci e insanabili, la cronaca storica di The Birth of a Nation risuona con la veemenza di un durissimo atto d'accusa contro quel razzismo insito nel codice genetico della più importante democrazia del pianeta.

Nat Turner: trentun anni schiavo

The Birth of a Nation: Nate Parker e Armie Hammer in una scena del film
The Birth of a Nation: Nate Parker e Armie Hammer in una scena del film

Alla sua presentazione alla Festa del Cinema di Roma 2016, l'opera prima di Nate Parker ha già compiuto una parabola alquanto singolare. Accolto da un entusiasmo pressoché incondizionato al Sundance Film Festival, dove si è aggiudicato i massimi premi della rassegna, The Birth of a Nation sembrava destinato a fare la parte del leone ai prossimi Oscar, salvo incappare nelle improvvise polemiche sorte attorno alla figura di Nate Parker quando all'attenzione mediatica è stata portata un'accusa di abusi sessuali risalente al 1999: un vortice di polemiche, e il parziale 'ripensamento' di molti critici, che probabilmente hanno inciso sulla tiepida accoglienza del pubblico in patria. Sebbene, dunque, un'eventuale canonizzazione del film appaia al momento affatto scontata, The Birth of a Nation può comunque essere annoverato fra i prodotti cinematografici più ambiziosi dell'anno, oltre che uno dei più potenti, in virtù del suo audacissimo connubio fra un respiro epico per molti versi decisamente 'classico' e aperture ad uno stile quasi visionario e tutt'altro che accademico.

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The Birth of a Nation: Nate Parker e Gabrielle Union in una scena del film
The Birth of a Nation: Nate Parker e Gabrielle Union in una scena del film

Al contempo produttore, regista e sceneggiatore (con piglio alla Orson Welles), il trentaseienne Parker conserva per se stesso il ruolo centrale: quello di Nat Turner, nato nel 1800 in una piantagione della Virginia da schiavi afroamericani e già al cuore di uno dei più acclamati romanzi di William Styron, Le confessioni di Nat Turner (1967). Testimone della precipitosa fuga del padre, colpevole unicamente di aver lottato per difendere la propria vita, in un impressionante incipit notturno, Nat impara a leggere fin da bambino: una capacità inusuale che gli permetterà di essere accolto sotto l'ala protettrice della moglie del loro padrone, Elizabeth Turner, la quale lo educherà attraverso le pagine della Bibbia. Diventato adulto, Nat si fa apprezzare per le sue doti di predicatore, pur restando uno schiavo del figlio primogenito di Elizabeth, Samuel Turner; e per quanto il suo padrone scelga di non adoperare il "pugno di ferro" sugli uomini e le donne a lui sottomessi, nelle piantagioni limitrofe Nat assisterà ad abusi e torture che susciteranno il suo senso di giustizia, insieme ad un desiderio di rivalsa via via più impetuoso e incontenibile.

Le radici insanguinate dell'America

The Birth of a Nation: Nate Parker in un'immagine del film
The Birth of a Nation: Nate Parker in un'immagine del film

L'intera impalcatura narrativa, pertanto, è costruita da Parker attorno al suo protagonista: The Birth of a Nation è un racconto di formazione che coincide con una progressiva presa di coscienza, nonché con una vocazione quasi mistica che permetterà a Nat di trovare nella Bibbia l'ispirazione per spingere gli altri schiavi suoi compagni a ribellarsi contro l'oppressione dei padroni bianchi. E se temi e ambientazioni potrebbero ricordare il recente 12 anni schiavo, in realtà il film di Steve McQueen e il film di Nate Parker sarebbero da considerare piuttosto come opere complementari: se infatti quello di Solomon Northup si proponeva come un calvario cristologico attraverso gli orrori dello schiavismo, in attesa dell'intervento di un provvidenziale deux ex machina, il percorso di Nat Turner è caratterizzato da una sofferenza legata a doppio filo alla rabbia per una condizione percepita come profondamente ingiusta (significativa in tal senso l'ambiguità morale del personaggio di Samuel), nonché dall'anelito al pieno riconoscimento della propria dignità di essere umano - la propria, così come quella di tutti i neri ridotti in schiavitù. Un anelito destinato a sfociare nella violenza e nel sangue.

The Birth of a Nation: Nate Parker, Penelope Ann Miller e Gabrielle Union in un'immagine del film
The Birth of a Nation: Nate Parker, Penelope Ann Miller e Gabrielle Union in un'immagine del film

È l'aspetto più estremo, coraggioso e di certo anche il più controverso di The Birth of a Nation: la violenza come necessario strumento di emancipazione e la legittimità del concetto di vendetta come forma di riscatto per un'esistenza di vessazioni e di soprusi. Vessazioni e soprusi che Parker descrive con una crudezza spesso scioccante, ma anche con la saggezza di sapersi fermare sempre un attimo prima di scivolare nel compiacimento gratuito. Che si tratti di prepotenze di natura fisica, psicologica o sessuale, la macchina da presa evita di indugiare nella rappresentazione delle atrocità più del dovuto, mentre la formidabile messa in scena del regista riesce ad elevare il film stesso ben al di sopra delle convenzioni del genere di appartenenza: dalla superba fotografia di Elliot Davis, dotata di un innegabile potere evocativo (specie nelle sequenze notturne), ai rari ma incisivi squarci onirici, dall'efficace lirismo delle scene di maggior pathos all'intensità raggelante dei momenti clou, inclusa una sequenza di battaglia da antologia del cinema contemporaneo, The Birth of a Nation adopera gli strumenti del linguaggio cinematografico con una forza davvero rara.

The Birth of a Nation: Nate Parker e Aja Naomi King in una scena del film
The Birth of a Nation: Nate Parker e Aja Naomi King in una scena del film

Una forza che costituisce la ragione primaria della grandezza del film, e che esploderà nel corso di un epilogo devastante, in perfetta coerenza con l'approccio 'rabbioso' e per nulla consolatorio adottato da Parker. Perché, al netto dei giustificati sospetti di manicheismo e di retorica, The Birth of a Nation si pone innanzitutto come un altro capitolo di quella straordinaria epica cinematografica (quell'epica che passa da John Ford a Francis Ford Coppola, da Michael Cimino a Martin Scorsese) sulla violenza endemica di una nazione che affonda le proprie radici nel sangue.

Movieplayer.it

4.0/5