Recensione The Breed - La razza del male (2006)

Parte male, questo The Breed, con i peggiori auspici per una pellicola di genere, per poi risollevarsi in parte grazie a un buon senso del ritmo e a una discreta padronanza tecnica.

Terrore a quattro zampe

Anche quest'anno si apre ufficialmente l'estate orrorifica (che cade sempre leggermente prima di quella del calendario): dopo aver assistito all'ottimo La casa del diavolo di Rob Zombie, e in prudente attesa del videoludico Silent Hill, ci troviamo di fronte a questo curioso The Breed, lanciato come al solito col nome del produttore esecutivo Wes Craven in bella vista, in modo di far credere all'incauto spettatore che si tratti di una sua regia. Tristi e risapute tecniche di marketing a parte, il film è curioso, si diceva: perché parte male, molto male, con i peggiori auspici per una pellicola di genere, per poi risollevarsi in parte grazie a un buon senso del ritmo e a una discreta padronanza tecnica.

La trama in breve: cinque studenti universitari vanno a passare un week-end nel cottage appartenente a due di loro, fratelli; la casa è situata su un'isola apparentemente deserta, ma presto i ragazzi si accorgeranno che non è propriamente così. Un'orda di cani famelici, infatti, forse affetti dalla rabbia, ha praticamente colonizzato l'isola, facendone il proprio regno ed uccidendo senza pietà qualsiasi altra forma di vita vi si avvicini. Inizierà così un terribile assedio al rifugio dei giovani, parallelo a un disperato tentativo di fuggire per prestare soccorso a una ragazza che è stata morsa.

Nel primo quarto d'ora si accumulano, uno dopo l'altro, tutti gli elementi che portano a maledire il regista, il produttore esecutivo che ha prestato il suo nome a un'operazione del genere, la distribuzione che ce l'ha propinata, e la concezione usa e getta dell'horror che impera sovrana da molti anni a questa parte: un mood adolescenziale, dialoghi da college movie di quart'ordine, personaggi tagliati con l'accetta, e i primi gratuiti e stucchevoli salti sulla sedia (guardare solo la prima sequnza in cantina), indici di un modo di intendere l'horror che ha dimenticato cosa significhi realmente la parola paura. Si inizia a sbadigliare e ci si rassegna, di buon grado, a perdere un'ora e mezza della propria vita per assistere all'ennesimo, inoffensivo pop-corn horror, magari appuntandosi mentalmente tutte le incongruenze e le fesserie per poi elencarle sadicamente in sede critica e/o di discussione con gli amici. Sia chiaro a scanso di equivoci: questa prima impressione non viene completamente smentita da quanto il film mostra in seguito. La sceneggiatura si rivela davvero poca cosa, l'immedesimazione con i personaggi, caratteristica fondamentale di una pellicola dell'orrore, viene completamente a mancare, e la regia non perde il vizio dell'effettismo fine a se stesso, restando lontana anni luce dal terrore atavico e allo stesso tempo terribilmente credibile che permeava una pellicola come The Descent - Discesa nelle tenebre.

Eppure, quando inizia l'assedio dei cani assassini al cottage dove si rifugiano gli sventurati protagonisti, il film mostra una solidità e una capacità di intrattenere inaspettate. La regia, traendo spunto da classici che avevano al centro un rifugio assediato come La notte dei morti viventi (con i quadrupedi a sostituirsi agli zombi romeriani), gestisce bene la tensione e il clima di sottile paranoia che si impossessa del gruppo; un clima derivato da un lato dall'essere intrappolati sull'isola alla mercè di esseri che (forse) non sono semplici animali, dall'altro dalla paura per la persona che è stata morsa, potenzialmente portatrice di un contagio letale. E, a ben guardare, un altro limite della sceneggiatura è proprio il non aver approfondito a sufficienza quest'ultimo aspetto, quello del contagio e dei suoi effetti: un elemento rimasto qui incerto, in secondo piano, limite che si va a sommare alla caratterizzazione sommaria dei personaggi e ai dialoghi decisamente poco credibili.

Il regista Nicholas Mastandrea è un allievo di Craven (è stato aiuto regista in molti suoi film) e si vede: c'è solido mestiere nel suo modo di girare, nonostante i frequenti scivoloni nell'effettismo spiccio di cui si diceva. E' un peccato quindi, alla luce di ciò, che non si sia prestata più attenzione alla pura e semplice scrittura: un copione appena più approfondito avrebbe sicuramente giovato a un film che punta orgogliosamente ad essere un b-movie d'altri tempi, di quelli che intrattengono senza pretese artistiche o pseudo-intellettuali. Così com'è, resta un diversivo da brividi gradevole, comunque superiore alla media degli horror o presunti tali che annualmente, di questi tempi, invadono le nostre sale: l'appassionato famelico potrebbe restarne comunque soddisfatto. Avanti il prossimo.

Movieplayer.it

3.0/5