Tarantino Girls

Da regista misogino ad alfiere del nuovo girl power, l'evoluzione tutta al femminile del cinema di Quentin Tarantino.

"Quando passi la maggior parte del tuo tempo dietro al banco del noleggio dei Video Archives, non ti capita spesso d'incontrare ragazze. Finché ho lavorato al videonoleggio, i miei unici appuntamenti sono stati con la clientela. Il tempo libero lo passavo con glia amici - anche loro senza ragazza - e ce ne andavamo al cinema. Una volta passato a lavorare in un posto dove c'era un tipo diverso di contatto con le donne, la situazione è cambiata drasticamente.". Questa dichiarazione rilasciata da Quentin Tarantino al mensile Playboy lo scorso novembre rappresenta ben più che una semplice curiosità da gossip: a ben vedere è una lucida auto-analisi del rapporto del regista con l'universo femminile, un rapporto la cui continua evoluzione è difficile non percepire perfettamente anche nelle sue opere. Tarantino dice di aver avuto esclusivamente rapporti di clientela con le donne, rapporti impersonali, e non facciamo fatica ad immaginarlo seduto ad un bar con degli amici (esclusivamente uomini, probabilmente colleghi di lavoro) a discutere di massaggi ai piedi e celebrità proprio come i protagonisti dei suoi primi film.

Anche ricordando bene il suo primo lungometraggio, il celebratissimo Le iene, è difficile rammentare un personaggio femminile in quel film: gli unici che vengono in mente sono la donna in macchina che, proprio come da prototipo di donna giustiziera e combattiva, spara in pancia al Mr. Orange che tenta di rubarle la macchina, e Madonna, la celebre cantante/attrice che con la sua canzone Like a Virgin è al centro del surreale quanto esilarante dialogo che apre il film. Tutto qui, due donne, una su schermo per circa 5 secondi, un'altra solo richiamata attraverso una sua canzone. Altre apparizioni, ancora più misere, sono probabilmente dovute esclusivamente a resoconti di incontri (poco) galanti. Se a questo aggiungiamo la violenza estrema presente più volte nella pellicola, il linguaggio inutilmente scurrile e sporco ed un tema classico da heist movie è facile capire perché Tarantino fosse stato dichiarato da subito come regista poco adatto per un pubblico femminile, se non addirittura misogino.

Le cose non migliorano certo con Pulp Fiction, film in cui aumenta si di gran lunga il numero di personaggi femminili, che però si rivelano ancora imprigionati in stereotipi classici, questa volta presi a prestito direttamente da romanzi pulp. Il più interessante è senza dubbio quello di Mia Wallace, un'attricetta fallita, fresca moglie di un boss della malavita che viene "affidata" per una serata alle cure di Vincent Vega, un killer braccio destro di Mr. Wallace. In queste sequenze Tarantino ci presenta il suo primo personaggio femminile degno di rilevanza, e non ci è difficile riconoscere anche qui una sorta di "maschilismo" latente: Mia è sexy, affascinante, sicura di sé e allo stesso tempo fedifraga, ingenua, ignorante in campo cinematografico; è la classica donna bella e pericolosa, una semplice tentazione per ogni uomo, tentazione che in alcuni casi può anche risultare mortale come dimostra la storia di Tony Rocky Horror e il suo misterioso massaggio ai piedi. In fondo è soltanto un elemento scatenante nel perfetto congegno del suo ideatore, così come lo sono altre protagoniste femminili quali la "coniglietta" rapinatrice che permette a Jules di riflettere sulla sua vita e sul suo lavoro o la "pericolosissima" Bonnie, che non compare mai all'interno della vicenda, ma la cui sola esistenza può mettere in pericolo la vita di più persone, senza contare il matrimonio di Jimmy, che appare effettivamente terrorizzato da questa moglie/padrona.

E' bene notare come sul set di Pulp Fiction il regista faccia conoscenza con l'attrice Uma Thurman, iniziando così un rapporto di amicizia e di collaborazione che sarà fondamentale ai fini dell'evoluzione oggetto di questa analisi, ma per ora è ancora la volta di un uomo: Elmore Leonard, autore del romanzo Rum Punch, soggetto per la sceneggiatura del terzo film di Tarantino, il sottovalutato Jackie Brown. Aiutato dallo scritto di Leonard, Tarantino arriva a costruire un personaggio femminile degno di tal nome: la Jackie Brown del titolo è affascinante, convincente (grazie anche all'eccellente interpretazione della rediviva Pam Grier), dalle problematiche profonde e reali. E' soprattutto per questo che emerge all'interno del film, arrivando a rubare la scena perfino ad un Samuel L. Jackson in stato di grazia, come vera protagonista, mentre le colleghe devono limitarsi ad intepretare una bionda strafatta e disinibita, una nera giovane e ritardata o un'attempata spogliarellista di colore. Jackie è invece la protagonista indiscussa del film: è lei a tirare le fila di tutta la vicenda, è lei ad organizzare i piani che le permetteranno di guadagnarsi contemporaneamente la libertà, la tranquillità economica ed una giusta vendetta. Ma non lasciamoci confondere perché nel suo personaggio non c'è nulla di più lontano dal mito della dark lady se non il colore della sua pelle: non c'è doppio gioco nei confronti dell'uomo che l'aiuta, ma sincero affetto, "bene" e "male" convivono perfettamente all'interno della sua persona, così come un senso di lealtà e onore, sentimenti fino ad ora raramente accessibili alle donne dei film noir. Jackie domina il film che porta il suo nome e non è una caso che la pellicola si apra e si chiuda esclusivamente con lei sullo schermo.

Arriviamo al 2003 e dopo sei anni di lontananza dalla sale cinematografiche, Quentin Tarantino è pronto a tornare sul grande schermo brandendo una katana e facendosi portavoce del nuovo girl power. Con Kill Bill: Volume 1 rivoluziona non soltanto la concezione sessista del suo universo meta-cinematografico ma cambia l'intera visione hollywoodiana dei film d'azione al femminile: siamo lontani anni luce dalle Charlie's Angels capitanate da Cameron Diaz, l'unico elemento in comune è l'attrice Lucy Liu, ma visti i risultati così differenti dal punto di vista della resa si fa quasi fatica a crederlo. Ai tre angeli si sostituiscono dei serpenti velenosissimi, alla gigioneria una perfidia ed una spietatezza che raramente hanno avuto eguali sul grande schermo, ma non per questo mancano senso dell'onore, rispetto o sentimenti profondi. La sposa interpretata dalla Thurman è un personaggio assolutamente tridimensionale, che già all'interno del primo volume si scopre sempre di più nei confronti degli spettatori, mostrando freddezza durante i combattimenti e dolcezza nei momenti immediatamente seguenti, dolore per il tradimento e nostalgia per il passato. Tutto questo con pochi dialoghi ma molti primi piani ravvicinati a cercare gli occhi, vero specchio dell'anima anche di queste serpi velenose. A partire dalla Thurman, passando per la Liu e Daryl Hannah e arrivando a Vivica A. Fox, tutti i personaggi femminili di Kill Bill dimostrano di non essere mai anonimi, ma avere alle spalle un passato ben definito, che nella maggior parte dei casi è a noi non direttamente accessibile, ma possiamo facilmente intuirlo, immaginarlo, sognarlo attraverso l'opera dell'autore che con queste donne assassine ha avuto un rapporto davvero speciale. Sempre nell'intervista a Playboy Tarantino dichiara: "Divento sempre uno o due personaggi mentre scrivo. Mentre lavoravo a Kill Bill, ero la Sposa. La gente aveva cominciato a notare che assumevo atteggiamenti tipicamente femminili. Tutt'a un tratto mi ero messo a comprare oggetti e decorazioni per il mio appartamento o per la casa. Vedevo una cosa che mi piaceva al Greenwich Village, e la compravo. Pareva che gli articoli volessero saltarmi addosso attraverso le vetrine, da come mi occhieggiavano: dovevo prenderli, portarli a casa e provarli. Mi sono ritrovato a comprare fiori e a sistemarli per casa. E di solito non porto gioielli."
E ora ci si provi a definirlo misogino e maschilista