Recensione Step Up (2006)

Step Up è un perfetto baluardo dell'era in cui viviamo. Una fotocopia di un passato i cui tratti sono poco marcati, perfettamente confezionata, lucida e plastificata.

Step Up: vi presento il presente

La contrapposizione naturale tra l'aderenza della calzamaglia da danza classica e l'oversize del mondo hiphop è il nocciolo metaforico di questo film.
Step Up infatti ci presenta sin dalle prime immagini come i due mondi siano così distanti uno dall'altro, sebbene la Musica (con la M maiuscola) possa creare tra loro un legame indissolubile.
La giovane ballerina di buona famiglia Nora (Jenna Dewan) è in procinto di sostenere il saggio di fine anno; tutto procede meccanicamente nella sua vita tanto sognata quanto prestabilita, finchè Tyler (Channing Tatum) irrompe nella scuola della ragazza portandosi dietro la scia di verità maleodorante che la strada comunica.

Tutto questo sa fin troppo di già visto, dalle origini con Dirty Dancing al più recente Ti va di ballare? - Take the Lead. E' incredibile come qualunque film sul mondo della danza (ad eccezione di The company e pochissimi altri) ricada sempre negli stereotipi di danza come riscatto sociale e di danza come mezzo di appianamento delle differenze culturali e razziali. Troppo ovvio. Troppo facile e troppo sfruttato.

Step Up inoltre soffre di una sceneggiatura molto forzata che vuole cercare di aprire un piccolo oblò sul mondo dell'hip hop, con il risultato di originare solamente una bieca caricatura di 8 mile, con la sostanziale differenza che al posto del carismatico Eminem abbiamo quì l'uomo con la faccia da panettone Bauli: Channing Tatum (ve lo ricorderete nel primo episodio di CSI Miami o nel ruolo del ragazzo nella chiesa in La guerra dei mondi, tutti ruoli perfetti per l'inespressivo Tatum). La sua controparte femminile è una sorta di inutile emulo deplastificato di Mariah Carey, mediocre persino come ballerina. Inespressiva come la colomba Motta.

Tuttavia tutti questi difetti sono compensati dalla carica di rivalsa che questi film sanno infondere ad un pubblico adolescenziale, toccano il nervo scoperto dell'invisibilità sociale: la paura di non essere visti e di non essere riconosciuti.
Motivo per cui questo film merita un certo apprezzamento per il messaggio che vuole perpetrare, che si riassume nella frase storica del cestista Kobe Bryant: "Se non credi in te stesso, chi ci crederà?"

Ovviamente ciò non è sufficiente per fare di Step Up un film degno di nota, aggiungendo poi che la figura stereotipata del neo-B-Boy risulta terribilmente odiosa a chi ha dedicato all'hip hop decenni della sua vita (i '70, gli '80 e i primi '90).
Se Chuck D dei Public Enemy era un personaggio sovversivo e politicamente impegnato, B-Real dei Cypress Hill un essere in grado di secernere sostanze psicotropiche dalla cute, Erick Sermon e Keith Murray degli EPMD due monoliti sempre pronti a battersi per aiutare le proprie famiglie.
Il neo-B-Boy (tanto alla Tyler/Tatum quanto alla Mario/ Miles, vero cantante R'n'B che ha partecipato al film) è un personaggio insopportabile:
Non ha ambizioni, non sorride, non ha obiettivi, gioca alla playstation, ruba macchine, si struscia su ballerine succinte, mostra i fori di proiettile sul petto pieno di orgoglio. Insomma è un duro con la "D" minuscola, che tanto piace agli adolescenti, una tipologia che ha creato il suo vitello d'oro in

La filosofia e la dignità dell'hip hop sono scomparsi. Estinti a metà degli anni '90. La crisi dei valori nel mondo odierno ha investito anche le correnti musicali, e il fatto che un adolescente d'oggi pensi all'hiphop pensando al braker/Bauli/Tatum è avvilente. E' come pensare che il Rock'n'Roll sia Little Tony, che il Metal siano i Linkin Park, e che il Pop sia Christina Aguilera.

Step Up è un perfetto baluardo dell'era in cui viviamo. Una fotocopia di un passato i cui tratti sono poco marcati, perfettamente confezionata, lucida e plastificata.
Non importano i contenuti. La forma è tutto.