Recensione Ladri di saponette (1989)

I vari piani di lettura riescono a coesistere grazie allo stile del regista che, come sempre, appare garbato e sognante, con un senso dello humour velatamente sopra le righe e, in questo caso, con un azzardato gusto per l'autocitazione.

Stasera danno un film in TV!

Con questo suo film, Maurizio Nichetti, dimostra, ancora una volta, di essere uno dei pochi registi italiani rimasti a saper giocare con la fantasia. Riesce a parlarci del reale senza essere realistico. Riesce a fare riflessioni serie con modi faceti. Questo film nasce in un momento in cui la settima arte si interrogava sulla tv e subiva con disperazione la piaga della pubblicità, pronta a tranciare i film con modi bruschi e zoticoni. Erano altri tempi, le tv si nutrivano di cinema e ripagavano con interruzioni maldestre e snervanti (il mercato home video era ben poca cosa... le VHS, ricordate?). Nichetti era uno tra i tanti registi frustrato da questa situazione. Un bel giorno decise di spiegare le sue ragioni in un film. Un film metacinematografico, anzi, metatelevisivo; sulla cui locandina è riportata una frase all'apparenza imbarazzante: "il primo film ad autointerrompersi con la pubblicità".

La vicenda si muove su diversi piani. C'è un film nel film; c'è un programma televisivo che introduce il film nel film; c'è una famiglia che segue il programma televisivo che introduce il film nel film; e c'è la pubblicità, che finirà per creare uno spassoso pasticcio. Tutto comincia con Nichetti, nei panni di se stesso, che si reca in televisione a presentare il suo nuovo film con l'aiuto del critico Claudio G. Fava. L'opera che il regista porta con se è una pellicola neorealista, che ricalca parzialmente la struttura del Ladri di biciclette di De Sica. Mentre il film va in onda, una famiglia guarda la tv nel più totale disinteresse, facendo altro e rispondendo al telefono. I problemi sopraggiungono con la pubblicità che, all'inizio, interrompe solo il film, in seguito, si fonde con esso generando un ibrido senza senso. I personaggi degli spot interagiscono con quelli del film creando lo scompiglio. Nichetti sarà costretto ad abbandonare gli studi televisivi per entrare nel film e salvare la situazione.

In Ladri di saponette c'è un po' di tutto. Quella della critica alla tv è solo una (la più evidente) delle letture possibili. C'è, ad esempio, anche una riflessione sui vizi del consumismo (la famiglia teledipendente, i desideri materiali dei personaggi del film nel film) e forse una ricerca sul linguaggio cinematografico (i diversi piani su cui si svolge il film; ricerca presente in maniera più esaustiva anche in un altra pellicola di Nichetti: Stefano Quantestorie). Senza contare che il film si lascia guardare, come una divertente commedia fantastica, anche se si resta in superficie. Tutte queste scelte riescono a coesistere grazie allo stile del regista che, come sempre, appare garbato e sognante, con un senso dello humour velatamente sopra le righe e, in questo caso, con un azzardato gusto per l'autocitazione (Ho fatto splash!).

Ladri di saponette colpisce nel segno. Nichetti riesce a creare un film dall'intelligenza vivace e, paradossalmente, un film che non può essere interrotto dalla pubblicità, quella vera. Risulterebbe una scelta grottesca, oltre che una clamorosa mossa sbagliata che non farebbe altro che avvalorare la tesi della pellicola. Un colpo di genio del sottovalutato regista milanese.