Recensione Little Soldier (2008)

Un tipico prodotto europeo festivaliero, caratterizzato da uno stile asciutto ed essenziale e da interpretazioni convincenti che permettono di sorvolare su alcuni limiti in fase di scrittura e su un plot dagli sviluppi facilmente prevedibili.

Soldato Lotte

Lotte (Trine Dyrholm) è un'ex soldatessa da poco tornata dall'Iraq nella sua natia Danimarca dove trascorre le giornate in solitudine tra i fumi dell'alcool: è evidentemente ancora tramautizzata da qualche oscuro incidente accadutole in servizio; non ha nè lavoro né interessi nè tantomeno amici. Un giorno le viene in aiuto il padre (Finn Nielsen) che non vedeva da tempo, la porta a cena e le offre un lavoro temporaneo come autista per il suo giro di prostituzione. In particolare le viene affidata Lily (Lorna Brown), una ragazza nigeriana che del padre è anche compagna, da scortare - ed eventualmente proteggere - dai clienti abituali. Lotte esegue gli ordini paterni senza fare troppo domande, accompagnando Lily da un posto all'altro - e mostrandoci così un universo di umanità raccapriccianti, dal cliente con velleità omicide a quello necrofilo che si eccita solo con una partner priva di sensi - ma quando il rapporto tra le due donne diventa più intimo, l'animo profondamente gentile ed altruista di Lotte prende il sopravvento costringendola così ad un inevitabile contrasto con il padre.

Il primo film in concorso di questa 59. edizione del Festival di Berlino è Little Soldier della regista danese Annette K. Olesen prodotto dalla Zentropa di Lars Von Trier e del Dogma. Ma delle celebri regole autoimposte quasi tre lustri fa non c'è ovviamente traccia in questa nuova opera che piuttosto rappresenta un tipico prodotto europeo festivaliero, caratterizzato da uno stile asciutto ed essenziale e da interpretazioni convincenti che permettono di sorvolare su alcuni limiti in fase di scrittura e su un plot dagli sviluppi facilmente prevedibili.
Poco importa infatti se il viaggio verso la redenzione di Lotte è chiaro fin dal primo incontro con la bella Lily, le due attrici sono brave a rendere convincente prima la distanza - apparentemente invalicabile - tra le due e poi il realizzarsi di un fragile rapporto di amicizia e fiducia pronto a spezzarsi in qualsiasi momento. Quella di Lotte non è una vera scelta, ma più un ultimo disperato tentativo di ritrovare un contatto umano e soprattutto di fare quel bene che l'aveva portata ad arruolarsi ma dove - anche se non ne sapremo mai i motivi - ha evidentemente fallito. Il tentativo di salvare Lily, di riportarla su una strada sana, verso una vita nuova e migliore, è un qualcosa di più universale, è innanzitutto il dimostrare di avere la forza di opporsi al padre e a quello che il padre rappresenta, ovvero la rassegnazione da parte della società occidentale al fenomeno del traffico di essere umani che è molto presente soprattutto nei paesi del nord. Ma è brava la regista a non limitarsi al solo giudizio ma anche a insuinare il dubbio nello spettatore di quello che sarà il destino di Lily: deciderà di sfruttare l'opportunità e vivere quindi davvero una vita migliore o deciderà di trasformarsi da vittima a carnefice? E' davvero possibile combattere questa spregevole situazione o ci troviamo in un circolo infernale da cui è impossibile uscire?

Movieplayer.it

3.0/5