Recensione Come le foglie al vento (1956)

Il destino di due vecchi amici è scritto nel vento. Quel vento, insieme alle foglie, spazzerà via le certezze di una vita grazie all'aiuto di due donne dal carattere opposto. E grazie all'inimitabile tocco mèlo di Douglas Sirk.

Sinfonia d'autunno

Douglas Sirk è da sempre uno dei punti più controversi nella critica cinematografica: molti lo sbeffeggiano e pochi lo idolatrano. A chi rimprovera al regista americano gli eccessi di maniera e il kitsch esagitato delle sue pellicole (a partire proprio da una delle protagoniste di Come le foglie al vento, Lauren Bacall, che ha affermato in un'intervista che "chi dice che è un grande film non ha il sale in zucca"!), alcuni stimati ammiratori (Jean-Luc Godard e Rainer Werner Fassbinder su tutti) rispondono che Sirk è un grande regista. L'ora di una completa rivalutazione critica di Hans Detlef Sierck (questo il nome originario del regista nato in Germania) sembra, dunque, ancora di là da venire, nonostante il recente e affettuoso omaggio decretato da Todd Haynes con Lontano dal paradiso. Come le foglie al vento è in ogni caso un film che, indipendentemente da come la si pensi sull'opera del regista, non può lasciare indifferenti e che conquista per la forza dei caratteri e dello stile.

Nella pellicola di Sirk la matrice melodrammatica è al massimo grado, grazie alla classica presenza di tre attori in sostanza tutti protagonisti (Rock Hudson, la già citata Lauren Bacall ed un bravissimo Robert Stack, alcolizzato, impotente donnaiolo e continuamente in preda a furori e frustrazioni) e di una co-protagonista come il premio Oscar Dorothy Malone (nel memorabile ruolo di Marylee, ninfomane per delusione, che sembra uscita fuori da una qualsiasi delle pellicole di Russ Meyer (viste anche le sue "doti" fisiche...): guardatevi, a titolo d'esempio, il crudele erotismo della sua danza scatenata messa intelligentemente in contrasto da Sirk con la morte del padre). Come le foglie al vento è un film volutamente eccessivo e che vive nell'esaltazione arroventata del Technicolor (i film di Sirk sono vere e proprie sinfonie di colori, in quanto il regista ripudiava apertamente l'impiego delle mezze tinte). I toni narrativi anticipano la soap opera (l'intreccio di Come le foglie al vento, come degli altri film sirkiani, rende palesemente superato un serial attualissimo come Beautiful...), con personaggi emotivamente debordanti, collocati in scenari apertamente teatrali e quasi plastificati, dove i simbolismi (non bisogna dimenticare che Sirk proviene pur sempre dalla lezione dell'espressionismo tedesco) sono edulcorati (il calendario sfogliato a rovescio dal vento, Marylee che "parla" pateticamente con i suoi ricordi d'infanzia, la casa come luogo quasi freudiano dell'azione, gli specchi impiegati piuttosto come mezzi di gestione dello spazio e il vorticoso mulinello delle foglie del titolo (italiano), evidente metafora dell'imminente tragedia). Il tutto, ovviamente, letto tramite le necessità degli anni Cinquanta ad uso e beneficio delle masse. Quelle stesse masse che, qualche decennio dopo, accoglieranno il serial Dallas (chiaramente ispirato alla storia dei texani di Come le foglie al vento) trasformandolo in un vero e proprio fenomeno di costume.

E' per questo motivo che, pur di preferire i lussureggianti melodrammi di Douglas Sirk a qualsiasi imbarazzante soap degli ultimi decenni, non temiamo di riempirci la zucca di sale (in accordo alla cara mogliettina di Bogey)...