Recensione La patente (2011)

Con i toni della farsa e tratteggiando personaggi dalle caratteristiche solo in apparenza eccessive, Alessandro Palazzi realizza il ritratto del nuovo uomo medio, regalando alla nostra commedia un senso del reale troppo a lungo ignorato.

Sì, viaggiare... evitando le buche più dure

Una storia intrigante può essere trovata in ogni luogo, nelle corsie di un ospedale, dietro la scrivania di un semplice ufficio o su un autobus affollato nell'ora di punta. Alessandro Palazzi probabilmente ha scovato la sua in una delle location più insolite per il cinema italiano, lasciandosi sedurre dall'umanità multiforme che popola le aule di una scuola guida in attesa di districarsi con agilità tra sensi unici e retromarce sulle strade come nella vita. Per il suo esordio dietro la macchina da presa, il regista romano decide così di risolvere evidenti problemi di budget concentrando l'attenzione su un microcosmo apparentemente invisibile ma ricco di spunti comici e riflessioni inaspettate. Inutile dire che, utilizzando il set come semplice punto d'incontro e smistamento, il centro della narrazione de La patente è rappresentato dall'alternarsi di personaggi cui viene affidato il compito di comporre l'immagine sempre più variopinta della nostra società. A dirigere questo susseguirsi volutamente scomposto di lezioni pratiche e teoriche è Rolando, trentenne insoddisfatto della vita che, dopo la morte improvvisa del titolare, decide di prendere le redini dell'autoscuola e di tentare la sua personalissima stangata. I patti con l'ex fidanzata, ormai a capo della gestione, sono chiari; se non riuscirà a far promuovere tutti i suoi alunni dovrà abbandonare l'incarico. Ad affiancarlo in un'impresa apparentemente già persa è l'amico Sergio che, dopo una breve carriera di barista e piccolo spacciatore, si trasforma in istruttore chiaramente impreparato.


L'inadeguatezza e la capacità d'improvvisazione sono i sentimenti che guidano anche le azioni di un manipolo di futuri automobilisti evidentemente allo sbaraglio. Dal giovane Alessandro alle prese con i turbamenti sentimentali per la taciturna Serena, alla misteriosa Liyu Jin, fino alla scanzonata trans Giulia, tutti raccontano con le loro storie personali il presente di un paese disorientato e disorganizzato ma che non ha perso il gusto dell'umorismo. Perché, nonostante, il sapore dolce amaro che caratterizza tutto il film, la narrazione di Palazzi non rinuncia al piacere di deridere con intelligenza la società che abitiamo e contribuiamo a formare. Così, con i toni della farsa e tratteggiando personaggi dalle caratteristiche solo in apparenza eccessive, il regista realizza il ritratto del nuovo uomo medio, regalando finalmente alla nostra commedia un senso del reale troppo a lungo soffocato da infinite vacanze di Natale ed Ex perennemente in agguato. Certo, dal punto di vista tecnico, come da quello della scrittura, il film presenta delle incertezze nate dalle limitazioni economiche e dall'inesperienza alla base di un'opera prima. Tutti elementi, però, che Palazzi non solo non nasconde ma che amalgama perfettamente con lo scopo ultimo del suo film; ossia narrare le avventure quotidiane di un'umanità imperfetta, naturalmente multietnica, sessualmente ed emotivamente confusa, ma ancora alla ricerca di una direzione da prendere, qualunque essa sia.

Movieplayer.it

3.0/5