Shaq, la recensione: il (gigantesco) punto di vista di una leggenda dell'NBA

La recensione di Shaq: per chi è cresciuto negli Anni Novanta, Shaquille O'Neill è stato un (gigantesco) riferimento sportivo e culturale. Ora, la docu-serie HBO ne ripercorre l'epopea personale e sportiva. Raccontandola dal suo punto di vista. In esclusiva su Sky e NOW.

Shaq, la recensione: il (gigantesco) punto di vista di una leggenda dell'NBA

Un disclaimer retrò che annuncia: "questa è una storia vera". Al centro della scena una poltrona, e poi un montaggio frenetico sulle note di Take on Me degli Ah-Ah. HBO ci sa (abbastanza) fare anche con lo storytelling sportivo, e lo dimostra fin dai primi istanti di Shaq, docu-serie in quattro episodi che racconta soprattutto il profilo personale di Shaquille O'Neill. Uno show che mette in risalto immediatamente i cardini principali: l'identità del giocatore, i grattacieli bassi di Newark (dov'è nato), e l'orgoglio di sua mamma Lucille O'Neal, che interviene subito dopo il suo Shaq (tornando più volte, facendoci riflettere su quanto gli uomini più grandi siano molto legati alla propria madre), e aprendo alla carrellata di spezzoni di partite e di interventi che tagliano verticalmente le persone che hanno (o che hanno avuto) a che fare con l'ex giocatore NBA: fratelli, sorelle, amici d'infanzia, veterani della pallacanestro (qualche nome, Phil Jackson, Dwayne Wade, Magic Johnson, Derek Fisher).

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Shaq: un'immagine della docu-serie su Shaquille O'Neal

Shaq, diretta da Robert Alexander, e disponibile in esclusiva su Sky Documentaries, in streaming solo su NOW e disponibile on demand, è piuttosto un flusso di coscienza, che gira e rigira sulla personalità gigantesca (e affatto semplice) di O'Neill. Densa, colma fino al bordo, estremamente verbosa (troppo?): si parte da lontano (un padre naturale che ha rinunciato al diritto genitoriale, e un patrigno giamaicano sergente dell'esercito, e le prime schiacciate alla Robert G. Cole High School di San Antonio, Texas) e, poco alla volta, ci si avvicina alla sua nuova carriera da presentatore sportivo, nella seguitissima Inside the NBA su TNT (dove conduce una rubrica con i migliori bloopers della settimana NBA). Ora, è sempre complesso scrivere la recensione di una docu-serie. Il motivo? Perché spesso e volentieri, ciò che vediamo nei primi minuti, ci accompagna poi per tutto il resto delle puntate. Il format viene copiato-e-incollato, e le emozioni principali trasudano in base al nostro diretto coinvolgimento nella storia che ci viene proposta.

Filmati e parole

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Shaq: un'immagine della docu-serie su Shaquille O'Neal

Tuttavia, in Shaq sono diverse le cose che ci hanno maggiormente colpito: la colonna sonora composta da Antuan Herriott, Roahn Hylton, Jacob Yoffee, il design generale curato da Michael Kreiser (scritte gialle, come se fossero delle pittate, che enfatizzano o introducono il discorso), i filmati vintage in 4:3 inquadrati in una televisione analogica. In mezzo, parole, parole, e parole. I confini di O'Neill raccontati da sé stesso, spaparanzato su una poltrona di pelle. Sullo sfondo, una lavagna d'ardesia dove sono disegnate (gigantesche) tre delle quattro coppe dei campionati vinti (tre con i Lakers, uno con i Miami Heat).

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Shaq: una scena tratta dalla docu-serie su Shaquille O'Neal

Il resto, fluisce come ci saremmo aspettati. O meglio, fluisce in base a ciò che è palese, ma esplicato in modo decisamente sommesso: Shaquille O'Neill ha fatto parte della cultura popolare e sportiva degli Anni Novanta, senza però averla davvero stravolta. Che vuol dire? Che narrativamente parlando, esiste il concetto di racconto sportivo pre e post The Last Dance. Lì c'era la verità assoluta, il tripudio e l'inferno, il sangue e il sudore. Una narrativa senza veli, senza paure. Difficilmente replicabile, e difficilmente applicabile su altre situazioni e altre figure, pur mitologiche e rappresentative come Shaq.

Testa e fisico

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Shaq: un'immagine della docu-serie HBO su Shaquille O'Neal

È indubbio che la sua presenza fisica e caratteriale sia stata un punto di riferimento negli Anni Novanta: un decennio che lo ha visto protagonista con gli Orland Magic (1992-1996) e soprattutto con i Los Angeles Lakers (1996-2004), franchigia che, in qualche modo, ha ereditato parte della sacralità dei Chicago Bulls di Michael Jordan (che viene citato, alla fine del primo episodio, e messo in correlazione con un guerriero di kung-fu). Va da sé che gran parte del progetto Shaq si concentra sugli anni di LA, spostando sensibilmente il focus. L'episodio due - anzi, FILM 2. - messo in scena come se fosse un fumetto, ci fa entrare nel vivo dei nostri ricordi, girando attorno alla maglia numero 34, che faceva concorrenza a quella (più venduta...) di Kobe Bryant.

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Shaq: un'immagine della docu-serie su Shaquille O'Neal

Un rapporto strano, complesso, sfidante. Un rapporto tutt'altro che lineare, ma comunque vincente nel perimetro 30x17 del parquet regolamentare. Del resto, la prospettiva che Robert Alexander vuole perseguire, è quella della grandezza: la grandezza fisica, la grandezza spirituale. Due elementi che vengono messi in co-relazione (e correlati dallo stesso protagonista, in senso atletico), e che dettano l'umore e il ritmo della serie. Una serie, ricordiamo, che ripercorre "una storia vera". Con un dettaglio non da poco: questa è una "storia vera raccontata da Shaq... quindi".

Conclusioni

Lo abbiamo scritto nella nostra recensione di Shaq: la serie HBO, disponibile su Sky e NOW, racconta dal punto di vista di Shaquille O'Neill la vita sportiva e personale dell'ex giocatore NBA. Testa, fisico, carattere, vittorie, sconfitte. Quattro puntata da un'ora che mischiano interviste a filmati d'epoca. Alcuni spunti interessanti, altri abbastanza indirizzati. Tra schiacciate e parole. Molte, parole.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.7/5

Perché ci piace

  • Shaquille O'Neill!
  • La colonna sonora.
  • I video d'epoca.
  • Alcuni aspetti sconosciuti...

Cosa non va

  • ... che si nascondo però dietro la "solita" cronaca.
  • Molto verbosa.