Shameless: il creatore Paul Abbott svela i segreti della scrittura

Protagonista del terzo e ultimo degli appuntamenti del ciclo "Created by", organizzati dal RomaFictionFest e dalla SACT, il creatore del cult Shameless si racconta e spiega l'importanza del processo di scrittura per la realizzazione di un prodotto di successo.

La terza edizione del RomaFictionFest è ormai alle porte: dal 6 all'11 luglio la capitale sarà invasa dai protagonisti delle serie tv più amate, pronti ad incontrare i loro appassionati fan. Nel frattempo, si concludono gli appuntamenti del ciclo "Created by", organizzati dal festival in collaborazione con l'associazione degli sceneggiatori S.A.C.T. (Scrittori Associati di Cinema e Televisione), che hanno dato vita ad interessanti confronti tra i creatori delle serie europee più innovative degli ultimi anni e gli addetti ai lavori di casa nostra. Nelle scorse settimane, alla Casa del Cinema di Villa Borghese a Roma, si sono avvicendati alcuni dei nomi più importanti della fiction europea, come Ashley Pharoah, tra i creatori della serie tv inglese Life on Mars e del suo spin-off Ashes to Ashes, e Frédéric Krivine, nome di spicco della fiction francese e sceneggiatore di prodotti quali il film tv Una deuxième chance e la serie Commissariato Saint-Martin, mentre questa mattina, per il terzo e ultimo appuntamento, è stata volta di Paul Abbott, tra i più importanti autori britannici, che vede il suo nome legato soprattutto alla serie cult Shameless, tragicomico ritratto di una famiglia disfunzionale inglese.

Vincitore di due premi BAFTA, per Clocking Off e Cracker, Paul Abbott si è distinto per le sue storie senza compromessi, che sono andate a scavare in profondità nella società inglese, fino ad arrivare a esplorare le sue zone oscure e le realtà più difficili. Ha preso spunto dalla sua stessa vita per ideare Shameless, serie tv politicamente scorretta ambientata a Manchester, che rappresenta un esempio perfetto di quell'equilibrio tra "volgarità e poesia" che Abbott riesce a mantenere costantemente nei suoi lavori. Arrivata alla sesta stagione, con la settima in preparazione, la serie tv trasmessa da Channel 4 ruota attorno alle tormentate vicende di una famiglia decisamente sopra le righe, composta da un padre alcolizzato e disoccupato, abbandonato dalla moglie, e dai suoi sei giovani figli sempre pronti a cacciarsi nei guai. L'esperienza autobiografica di Abbott, che nel creare Shameless ha attinto abbondantemente dai suoi travagliati trascorsi familiari, ha fornito alla serie quell'ironia e quell'umanità necessarie per conquistare gli spettatori. Oltre alla ricchezza della scrittura e alla raffinatezza nella caratterizzazione dei personaggi, la serie si è distinta per il suo particolare stile visivo, con una regia che ha fatto un sapiente uso della camera a mano, e il suo linguaggio duro e senza censure. Shameless è stato inoltre il trampolino di lancio per una delle sue più giovani star, James McAvoy. E se in Italia sono andate in onda finora soltanto le prime tre stagioni, trasmesse da Jimmy Tv, negli Stati Uniti è attualmente in preparazione una versione americana per HBO.
All'incontro con i suoi colleghi italiani, lo sceneggiatore inglese ha svelato i segreti dietro un prodotto di successo come Shameless, sottolineando l'importanza della fase di riscrittura e la necessità di un lavoro di gruppo che preveda non soltanto il continuo confronto tra gli autori chiamati a dar vita a storie sempre più coraggiose, ma anche un perfetto accordo tra il reparto della scrittura con quello della regia e della produzione. Eppure, Paul Abbott da piccolo sognava di curare le cataratte in Africa e la sua vita è stata tormentata da traumi, abbandoni e un'aggressione che l'hanno portato a tentare il suicidio. Finito in un ospedale per malati mentali e poi dato in affidamento più volte a famiglie diverse, Abbott sembra trovare la sua strada all'età di 22 anni, quando dopo aver vinto un concorso per un dramma radiofonico comincia a collaborare alla stesura della soap-opera Coronation Street. Da quel momento la scrittura diventerà la missione di vita di quello che è oggi unanimamente riconosciuto come uno degli autori più importanti del panorama della fiction inglese.

Paul Abbott, lei ha dichiarato che quando era giovane desiderava fare il dottore. Com'è diventato invece sceneggiatore?

Paul Abbott: All'età di quindici anni vidi una mia foto su un giornale. Avevo vinto un concorso e nell'immagino ero ritratto con in mano un trofeo e un assegno di venti sterline. Non ricordo come fosse successa questa cosa, ma l'ho trovata estremamente offensiva, perché ho sempre voluto fare il dottore in realtà e invece mi ritrovavo con addosso un badge che mi definiva "scrittore". E' qualcosa che non ho scelto di fare, ma sono stato scelto. A questo punto ho capito che la mia mente era piena di roba, di idee, e fare il medico non mi avrebbe permesso di utilizzare tutti questi residui. Dovevo trovare un mestiere folle esattamente come lo ero io.

E così ha cominciato a scrivere per la televisione.

Paul Abbott: Ho sentito che potevo diventare un bravo scrittore. Da allora ho scritto ogni singolo giorno della mia vita, perché sono convinto che più scrivi più migliori. Ho cominciato a lavorare scrivendo radiodrammi per BBC Radio 4, un'ottima opportunità per imparare e affinare le mie qualità di sceneggiatore. Ho avuto poi un'offerta di lavoro per una soap opera, Coronation Street, la serie più longeva in Gran Bretagna. Per me si è trattata di un'offerta fantastica perché mi assicurava un assegno altrettanto fantastico che mi consacrava sceneggiatore. Dopodiché ho creato una serie medica intitolata Children's Ward, ambientata in un reparto pediatrico, che è durata dieci anni. Mi sono ritrovato poi a lavorare su cinque progetti contemporaneamente e ho prodotto la serie tv Cracker, un'esperienza molto importante per me per capire come venivano spesi i soldi in un prodotto seriale.

Il passaggio alla produzione ha cambiato la sua vita?

Paul Abbott: La mia vita si è trasformata perché mi sono ritrovato a far parte integrante di un'industria creativa a un livello che non avrei mai pensato di raggiungere. E' stata un'esperienza terrificante, ma anche divertente. Ho stipulato un contratto con me stesso: dovevo rispettare il pubblico perché io stesso ero quel pubblico. Non ho mai scritto una cosa che non volessi vedere, mentre molti altri invece lo fanno senza problemi. Quando rispetti il pubblico rispetti te stesso e solo in quest'ottica è possibile continuare a crescere sempre di più, perché crei sempre meglio. Certo, nella mia carriera di sceneggiatore ho fatto cose di cui poi non sono stato contento, ma ho sempre cercato di migliorare. Se non impari a pensare così non sei più uno sceneggiatore, ma un semplice dattilografo.

Qual è il rapporto che intercorre tra sceneggiatura e produzione?

Paul Abbott: I due aspetti sono ovviamente collegati, ma credo che oggi molti più sceneggiatori dovrebbero cominciare a pensare come produttori, perché spesso i produttori non riescono a pensare per sé stessi. Ho molto rispetto però per il lavoro di questi ultimi, perché il loro compito è dare ordine a tutti i pensieri, i vapori nella testa degli sceneggiatori. I produttori riescono a lavorare bene quando hanno un progetto pronto, ma raramente fanno bene quando non hanno nulla di concreto per le mani. Se uno sceneggiatore riesce ad avere anche la mentalità del produttori mentre "intreccia la segatura", come si dice da noi in Inghilterra, è un enorme vantaggio perché si trova a ottimizzare i costi già in fase di scrittura.

Come cambia il rapporto con i network quando si diventa produttori?

Paul Abbott: I network cambiano atteggiamento, diventano più rispettosi, intanto perché pensi per loro, e poi sei tu stesso a non vederli più come nemici. Dobbiamo smetterla di ripetere quanto siano stupidi i network, ma l'importante è che questi imparino a fidarsi degli sceneggiatori. Da parte mia, voglio confezionare un prodotto che corrisponda ai loro desideri. La tv inglese è piuttosto innovativa, ma c'è sempre spazio per ambire a molto di più. Io ho cercato di capire quello che i network volevano e di far loro capire cosa volessi io. Sono uno sceneggiatore e devo vendere il mio prodotto, ma devo far capire che la mia idea non si ferma a un genere o a una storyline. Bisogna imparare a descrivere quello che si ha in mente, il proprio stile, bisogna essere seduttivi perché solo in questo modo gli altri si interesseranno al tuo lavoro.

Nel sistema produttivo inglese, da chi partono le idee?

Paul Abbott: I network a volte propongono un'idea agli sceneggiatori, ma non è una situazione così comune. Io personalmente ho sempre portato le mie idee ai network e mi è sempre stato detto di alzare di più la posta. Una volta ho vinto un premio e sono stato a cena con una signora, il capo della fiction della BBC che mi ha concesso dieci secondi di gloria e poi mi ha detto di andare oltre, di osare ancora di più. Lei ha avuto fiducia in me e io in lei e questo è un ottimo modo di lavorare.

E' d'accordo sul fatto che i network americani siano il modello a cui bisogna guardare per migliorare?

Paul Abbott: I network americani sono i migliori perché si rivolgono a una popolazione più vasta, il loro modello ha una qualità più alta e si pone a un livello più ambizioso, ma noi europei dobbiamo migliorarlo e adattarlo alle nostre possibilità. Quello americano è un sistema molto dispendioso, ma noi non ce lo possiamo permettere, non abbiamo la cultura degli "spendaccioni". Non possiamo copiare questo modello, ma possiamo assumerlo per alterarlo. Sono dei gran lavoratori gli americani, scrivono dal mattino alla sera, fanno riunioni in cui condividono idee tra sceneggiatori del team, e trovo che sia una gran cosa perché solo col lavoro si può arrivare al meglio.

Quanto è importante il lavoro di revisione delle proprie idee per arrivare alla stesura definitiva di una sceneggiatura?

Paul Abbott: E' un lavoro strategico, ma non meccanico. Una buona scrittura sta tutta nella riscrittura. Qualche tempo fa ho scritto sedici pagine di un progetto e mi sembravano fantastiche, ma tornato da New York mi sono accorto che non funzionavano e le ho riscritte per migliorarle. Bisogna continuamente cambiare ciò che già si è fatto, dargli le proteine per renderlo migliore. Recentemente, per due anni, ho lavorato su due idee, ma sei mesi fa ho realizzato che erano in realtà la stessa idea, due ingredienti nati per stare insieme. Intanto le avevo già proposte in maniera separata, e mi sono arrivate numerose offerte. Avrei potuto vendere sia l'una che l'altra, ma così facendo questa idea sarebbe stata tagliata in due, e sono felice di essermi ascoltato.

Può anticiparci di cosa si tratta?

Paul Abbott: La prima idea era molto simile a Shameless, ma si trattava di un film, una sorta di Kill Bill, incentrato su una vendetta raccontata dalla sottocultura che anima la mia serie. La seconda riguardava invece un comprensorio di strani animali, persone con il muso dei maiali e le orecchie delle volpi, ed era intitolata orientativamente Savages. Volevo inserire elementi di narrazione semplici, ma vulcanici, che contenessero qualcosa del mondo animale. In una scena del progetto, c'è un topo in un bar che vede improvvisamente la donna che ha amato fino a cinque anni prima, che nel frattempo è diventata una maialina rosa. Va da lei felice di vederla tornare nella sua vita, ma lei gli spiega che si sta per sposare quello stesso giorno e che al piano di sopra è in corso il ricevimento del suo matrimonio. Arriva quindi il suo sposo, una volpe borghese dal background opposto a quello del ratto, che si reca al bancone per mangiare un'oliva. Il topo lo aggredisce d'improvviso al collo e c'è sangue che schizza dappertutto. La maialina gli chiede allora perché abbia ucciso il suo sposo e il topo le spiega che l'ha fatto per legittima difesa, perché stava rubando il suo cibo. In realtà, si trattava di una scusa che mascherava la sua gelosia, ma a me interessava riflettere sul fatto che nel mondo animale è concesso tutto, anche uccidersi. Amo questa idea e non vedo l'ora di realizzarla.

Pensa di farne una serie animata?

Paul Abbott: Assolutamente no, voglio che sia live action, perché credo che l'animazione sarebbe meno viscerale. In fondo, questo progetto propone una metafora di quanto possiamo essere orribili noi esseri umani e mi piace l'idea di essere pagato per mostrare questa miseria.

Ci racconta qualcosa del suo esperimento del Writers' Studio?

Paul Abbott: Due anni fa sono stato da un'ipnotista per cercare di arrestare questo continuo vorticare di idee nella mia testa, ma ho capito che non era la scelta giusta, perché poteva essere pericoloso sigillare queste idee. Il Writers' Studio è un esperimento, un progetto per sintetizzare queste idee, un posto dove discuterne insieme ad altri perché prendano fuoco e crescano. Vogliamo rendere le idee il più perfette e complete possibili prima di portarle ai network, i quali hanno comunque lo spazio per esprimere le loro preferenze. Attraverso il Writers' Studio vogliamo mettere la nostra voce e il nostro cuore sulla carta senza interferenze, prendendoci tutto il tempo necessario per farlo.

Com'è materialmente organizzato il lavoro del suo team di scrittura?

Paul Abbott: Io sono direttore creativo e con me lavorano tre persone che controllano l'eventuale dispersione di denaro. Ci sono poi tre storywriter più altri otto sceneggiatori, di cui sei alle prime armi. Il nostro obiettivo è insegnare agli sceneggiatori a diventare anche produttori: più imparano su aspetti importanti dell'industria, quali il casting, il budget, e la recitazione, più scrivono meglio.

Tra i suoi lavori più apprezzati c'è certamente la serie Shameless. Com'è nata l'idea?

Paul Abbott: E' una serie creata sei anni fa, basata in parte sulla storia della mia famiglia, che è piuttosto strana e complessa. Ci tengo a precisare però, che non si tratta solo di un rigurgitare di mie esperienze, ma è una cosa strutturata, costruita, scritta. Non è una storia sociale, ma una confezione per la televisione e sono molto soddisfatto di ciò che ho fatto.

Qual è stato il lavoro di sceneggiatura richiesto da Shameless?

Paul Abbott: E' difficile trovare degli sceneggiatori per questa serie. Per la sesta e la settima stagione, il 65% degli sceneggiatori era al debutto, perché non ce n'erano di esperti a sufficienza disposti a partecipare a un progetto così "psichiatrico". Abbiamo un totale di otto sceneggiatori e ai nuovi forniamo gli ingredienti principali della storia. All'inizio della stagione ci incontriamo per parlare dello scheletro generale, per poi concentrarci su due blocchi da otto episodi, dei quali andiamo ad analizzare con grande precisione le storyline.

Shameless è una serie dal forte impatto. Abituando il network e il pubblico a una creatività così esuberante non si corre il rischio di ritrovarsi costretti ad osare sempre di più?

Paul Abbott: Shameless e Savages sono due idee che rappresentano esempi perfetti del lavoro che sto facendo, ma gli stessi ingredienti che le compongono li applico a tutto quello che creo. Non devo cercare di stordire chi mi ascolta, ma metto l'eccentricità e la raffinatezza in tutti i miei lavori. Per esempio, attualmente sono concentrato su un'idea relativa all'incapacità dei maschi di comunicare tra loro. Se ci fermiamo ad ascoltare le conversazioni maschili capiremo facilmente quanto false e noiose siano, e mi piacerebbe sviluppare questa intuizione in un progetto per la tv. Anche in una formula così "umana" metto lo stesso sforzo e la stessa raffinatezza che contraddistinguono i miei lavori.

Come ha venduto Shameless al network e quanto ha dovuto cambiare l'idea originale?

Paul Abbott: In realtà, c'erano due dirigenti di Channel 4 che conoscevano il modo in cui raccontavo la mia famiglia e per tre anni mi hanno rincorso chiedendomi di scrivere un film basato sulle mie esperienze. Ho cominciato a scrivere una sceneggiatura, ma non ero convinto che l'idea fosse giusta, e perciò ho lasciato perdere. Loro non mi hanno mollato e mi hanno persuaso a continuare a scrivere e alla fine è nato Shameless che penso sia stato molto di più di quanto si aspettassero. In questo caso ho avuto i dirigenti totalmente dalla mia parte e non ho dovuto passare attraverso il pitching (la presentazione ufficiale di un progetto, ndr) perché avevano già capito che in questa idea c'era della polvere d'oro; hanno definito Shameless, una sorta di Waltons in acido, e ho trovato il paragone piuttosto divertente.

In Shameless fa irrompere la realtà dai comportamenti dei protagonisti in un modo politicamente scorretto. Quali sono gli ingredienti che usa per far digerire al network e al pubblico questa realtà?

Paul Abbott: Come sceneggiatore è il tuo lavoro portare le persone nei luoghi in cui non sapevano di volere andare. Le devi portare in un punto che non conoscono, dando loro una visione degli altri completamente nuova. Per vendere una storia così turbolenta devi però essere delicato. Si può essere volgari e poetici nello stesso momento, un po' come dire a qualcuno "I fuckin' love you". Devi rispettare il network, dare ai tuoi nemici le battute migliori, perché le persone della tua famiglia che detesti sono spesso quelle più interessanti.

A quale target voleva rivolgersi con Shameless?

Paul Abbott: Non avevo un target prefissato, perché per me quello che è più importante è la storia. Ci sono sceneggiatori maschi in Gran Bretagna che lavorano sulla loro frequenza, ma penso che lo spettatore debba essere trascinato a vedere quello che lo sceneggiatore ha scritto per lui e non essere costretto a stare sulle sue frequenze.

Shameless si distingue da tutti gli altri prodotti televisivi anche da un punto di vista registico, con un forte uso di camera a mano. Quanto dello stile visivo della serie c'era già in sceneggiatura e qual è il rapporto tra chi scrive e chi dirige?

Paul Abbott: Abbiamo trattato col regista e con gli operatori, perché siccome si trattava di una cosa del tutto nuova doveva avere anche un impatto visivo completamente diverso rispetto a quello che già passava in tv. Volevamo che Shameless non sembrasse come nessun altro prodotto esistente, e le implicazioni in merito, inserite in sceneggiatura, riguardavano il fatto che andava accentuata questa costante sensazione di imminenti guai. Se riesci a sedurre il regista e gli operatori li porti a fare qualcosa di innovativo. Lo stile è poi arrivato via via che andavamo avanti con la realizzazione degli episodi.

Qual è il suo rapporto con la regia?

Paul Abbott: Io non so dirigere, non sono un regista e non voglio essere obbligato a farlo. La mia voce esce dalla sceneggiatura e se un regista tentasse di soffocarla non sarebbe un comportamento accettabile. Sceneggiatori e registi sono chiamati a creare insieme il prodotto ed è compito di un bravo produttore far sì che il regista non prevalga. Nessuno può sopravvivere senza l'altro e tutte e tre le categorie devono essere portate a capire questa verità. Per esempio, durante la prima settimana di riprese di Shameless mi sono reso conto che avevamo sbagliato il casting dei due fratelli, perché avevamo dato la parte del gay al più bello dei due attori. Ma così facendo, chiunque si sarebbe chiesto perché un ragazzo omosessuale così bello non sarebbe stato tentato di abbandonare quella vita misera per tentare il salto di qualità, mentre per un gay bruttino sarebbe stato più probabile restare in quella casa. Ho quindi alzato la mano per esprimere la mia idea e questa cosa ci è costata mezzo milione di sterline. Senza il sostegno del regista e la fiducia del network però non si sarebbe potuto fare questo cambiamento di ruolo. L'importante è capire gli sbagli, ammettere i propri errori e lavorare insieme per correggerli.

Come sono visti gli sceneggiatori dai network?

Paul Abbott: Ai registi non vengono le idee, reagiscono solo a un prodotto già pronto, ma hanno una frequenza visiva che io da sceneggiatore non ho. Se i registi continuano a essere irrispettosi verso gli sceneggiatori, credo che questi non debbano più fornir loro le proprie idee. Gli scrittori sono come topolini operosi che tirano fuori la sceneggiatura, che è la base di ogni prodotto, e i registi non possono fare a meno di loro. I network dovrebbero promuovere la conoscenza dell'industria tra gli sceneggiatori, perché solo così un prodotto può venire davvero bene: in questo modo un vero showrunner (una sorta di capo degli sceneggiatori, ndr) può rendere cinque volte di più al network. Il prodotto se sarà migliore renderà poi molto di più in tutto il mondo.