Recensione Sfiorarsi (2006)

Lontano dalle logiche commerciali del cinema vincente al botteghino, Sfiorarsi è finalmente un film sussurrato, il racconto dal linguaggio semplice di amori sbagliati, difficoltà quotidiane per una volta portate sullo schermo senza isterismi.

Sfiorarsi, riconoscersi, perdersi

La storia di Sfiorarsi è stata segnata da innumerevoli difficoltà, di finanziamento e di distribuzione, come spesso accade per i film indipendenti italiani, che con tanta fatica riescono a raggiungere la sala per rimanere poi confinati in una malinconica invisibilità, condannando spesso registi e autori all'inattività per l'inevitabile insuccesso delle loro opere. Tra i piccoli film che cercano faticosamente di raggiungere il pubblico c'è anche l'ultimo lavoro di Angelo Orlando, delicato sfiorarsi di anime in continuo movimento che faticano a riconoscersi, ma sanno perdersi con facilità. Lontano dalle logiche commerciali del cinema vincente al botteghino, Sfiorarsi è finalmente un film sussurrato, il racconto dal linguaggio semplice di amori sbagliati, abbandoni e difficoltà quotidiane da affrontare, per una volta portate sullo schermo senza isterismi, senza azioni sensazionali, ma col coraggio e la buona volontà di chi comunque non riesce a darsi per vinto, e spera ancora che qualcosa di buono possa esserci là fuori, tra un sogno che si infrange e un pugno nello stomaco.

Assieme a Orlando, a scrivere il film è l'altra protagonista, la deliziosa Valentina Carnelutti, che riesce a dipingere con estrema bravura un personaggio femminile finalmente credibile, una giovane attrice piena di insicurezze, che affronta la maternità con grande dignità, pur nella propria solitudine di donna, tradendo tutta la sua incapacità di essere genitore quando intorno a lei è il vuoto. E mentre vaga con i suoi capelli bagnati in una Roma semi deserta, tra amicizie rassicuranti e amori impalpabili, sfiora continuamente il personaggio interpretato da Orlando, un fotografo quasi quarantenne che si rifiuta di crescere, impegnato in una relazione senza futuro con una sua giovanissima studentessa. I suoi tentativi di fermare l'attimo, come il suo mestiere lascia intendere, di bloccare il processo di crescita per vivere in un'incoscienza che possa sollevarlo dalle responsabilità, sono destinati a scontrarsi con le tappe obbligate che pone la vita, che sia lo slegarsi da una madre troppo invadente o trovare il coraggio per rincorrere la donna amata che rischia di sfuggirgli per sempre, per un malinteso non chiarito.

Una sceneggiatura scritta con mano leggera, quasi con timidezza, che descrive sensazioni più che situazioni, senza però tradursi in materia evanescente. La storia d'amore che si presumerebbe inevitabile tra due protagonisti che prima di riconoscersi non fanno altro che sfiorarsi da sempre non ha soluzioni scontate, si offre allo spettatore nella sua naturalezza e ingenuità poetica, e quando l'incubo di perdersi si fa sempre più concreto la ricerca dell'altro assume una tenerezza davvero piacevole. Gran merito è soprattutto di Angelo Orlando, che come regista sa il fatto suo, gira in pellicola e s'avventura in una serie di piani sequenza che permettono al film di scorrere in scioltezza, accorciando la distanza con un pubblico che si affianca ai protagonisti, li guarda dall'esterno con sguardo partecipativo per condividerne drammi e gioie. Orlando non fa strabordare la sua naturale propensione alla comicità, mantenendola sempre al servizio della storia, evitando al racconto una pesantezza che in un certo tipo di cinema è sempre un grande rischio. Sarebbe cosa davvero buona proteggere e agevolare film del genere, piccole opere senza pretese che possono solo far bene al cinema italiano.