Recensione Sex and the City 2 (2010)

Tra cliché sulle donne moderne, assatanate del consumismo supergriffato, e sketch osé di gratuita volgarità le "ragazze" di New York si allontanano dalla serie televisiva che le aveva rese celebri e scelgono la trivialità megalomane e glitterata.

Sex and the desert

Campagna promozionale segretissima per il secondo appuntamento al cinema con le "ragazze" di una delle serie tv più amate degli ultimi anni. Strategia commerciale che non è dispiaciuta ai giornali americani, che avevano annunciato l'uscita del film rispondendo per le rime e utilizzando l'abile gioco di parole tra "show" e "shoe", uno degli oggetti più connotativi, quest'ultimo, della protagonista Carrie Bradshaw (Sarah Jessica Parker). Sex and the City 2 prova a portare in altre direzioni i percorsi delle divette di New York idolatrate da tante postfemministe, da modaiole incallite e da viveur gioiose, ma non dimentica che uno degli aspetti più interessanti della serie, che ne ha fatto la fortuna, ben oltre le caratterizzazioni in salsa rosa e il successone dei personaggi e al di là dell'ambientazione metropolitana della fantastica New York City, è il glamour. È innegabile che la patina fashion di Sex and the City sia molto di più che una semplice confezione! Ma non è per questo aspetto che il franchise più glitterato delle ultime produzioni hollywoodiane dovrebbe essere bollato come superficiale.

Avevamo lasciato Carrie, Miranda e Charlotte alle prese con i loro matrimoni mentre l'unica rimasta single è l'impenitente ninfomane Samantha. Ora ritroviamo le prime tre amiche stravolte dalla loro quotidianità: Carrie non riesce a gestire la sua vita coniugale con Mr. Big e oscilla tra la voglia d'emancipazione da donna indipendente e il bisogno di romanticismo di coppia, Miranda vive un momento poco felice a lavoro perché continua a essere in netta minoranza rispetto ai maschi dello studio e questo l'allontana dalla propria famiglia, Charlotte ha crisi d'isteria ogni volta che la figlia più piccola si lancia in piagnistei interminabili e la prima le rovina gli abiti vintage di Valentino mentre l'unica che riesce ad aiutarla è la sua giovanissima e tonica tata. Samantha invece fa di tutto per mantenersi in forma e lotta in maniera ossessiva contro la menopausa seguendo i consigli di un vademecum commerciale per la bellezza. I loro equilibri, a distanza di oltre vent'anni dal loro primo incontro nella Grande Mela, rischiano di spezzarsi ed è per questo che decidono di scrollarsi di dosso la crisi andando in un Paese ricco come Abu Dhabi, dove, tra il lusso osceno di un albergo da 22mila dollari a notte e l'incredulità occidentale di fronte alle donne arabe costrette a mangiare le patatine una per volta sotto il velo, si ritrovano nel deserto a "fare baldorie" insieme come ai vecchi tempi e si concedono una vacanza antistress con peccatucci al seguito.
Se dai marchi di fabbrica dello show televisivo potevamo escludere i tabù sessuali, gli stereotipi da gentildonne e l'etichetta delle convenzioni sociali, in Sex and the City 2 questi elementi vengono ribaltati e inclusi tra le tematiche più care come l'amicizia e quella più recente della famiglia. Il sequel diventa così un accumulatore di sketch di gratuita pornofilia, volgari nella loro chiarezza verbale e visiva, sfrontata e spregiudicata, che strappa risate imbarazzate e meravigliate al pubblico - femminile - più giovane. Trasforma un prodotto che deviava dai canoni in un addensatore di cliché sulle donne moderne, che trova la sua formula ridicola e demodé nell'osanna al mito del femminino nella sequenza del karaoke: come quattro donne che hanno ancora bisogno di reclamare la loro indipendenza sessuale al mondo, Sam, Miranda, Carrie e Charlotte si lanciano entusiaste e sgraziate nella canzone dell'icona Helen Reddy "I Am a Woman" che grida ai quattro venti che la donna è "forte" e "invincibile" (che aveva di sicuro un senso più profondo nel contesto post-sessantottino). La scena è incoerente con la direzione della serie che, al contrario di questo deserto di idee, era riuscita a remare contro gli stereotipi delle femministe attraverso un percorso di ricerca e di costruzione dell'identità femminile e sessuale, forte dell'appoggio dell'amicizia, ironizzando, mentre li metteva in scena, sugli aspetti più triviali, dallo shopping sfrenato alla singletudine per scelta.
La moda e il sesso vengono ora ripiegati nel cuore del film e utilizzati per far marciare una produzione ad altissimo budget, come ci ricordano le incredibili riprese aeree dell'apertura, le scenografie ricostruite (in Marocco), tirate a lucido e caratterizzate da esuberi che superano perfino il più detestabile kitch e la partecipazione di star del calibro di Liza Minnelli, Penelope Cruz e Miley Cyrus, verso un consumismo e una superficialità davvero discutibili. La regia di Michael Patrick King si allinea con la smorfiosa spocchia dell'intero film con riprese ambiziose e con primi piani ridondanti delle protagoniste e dei personaggi maschili, che trovano almeno nell'immagine un modo per ricordare agli spettatori la loro presenza-assenza nel film. Tra eccessi fini a se stessi, anche nei risvolti prevedibili e nelle battute da amichette del cuore, e pesanti carichi gratuiti di sessualità osé trova qualche spazio, in angoli scoperti dalla megalomania impellente, la battuta divertente che riesce a far ridere le spettatrici che si lasciano andare e sono fermamente convinte che i colori sfavillanti che bucano gli schermi ultrapiatti di ultima generazione siano più allettanti del bianco e nero di quelle commedie sofisticate, come la citata Accadde una notte, che si guardavano nelle vecchie care sale cinematografiche.